Cominciamo, dunque, in un modo qualsiasi. E tanto vale cominciare con questa difficoltà iniziale: chiunque voglia dire oppure ascoltare con profitto una cosa qualunque a proposito della stupidità, deve presupporre di non essere egli stesso stupido. Perciò egli ostenta la sua intelligenza, benché ciò sia generalmente considerato un segno di stupidità! Ma se ci domandiamo perché sia considerato da stupidi ostentare la propria intelligenza, la risposta che per prima s’impone sembra emergere dalla polvere di tempi andati. Perché tale risposta suona: è più prudente non mostrarsi intelligenti. È probabile che questa prudenza, così malfidata e oggi, a tutta prima, addirittura incomprensibile, trovi la sua origine in una situazione nella quale, per il più debole, era davvero più intelligente non farsi passare per intelligente: la sua intelligenza avrebbe potuto minacciare la vita del più forte! La stupidità, al contrario, sopisce la diffidenza, la disarma, come diciamo ancora al giorno d’oggi. Infatti tracce di questa furberia, di questa stupidità astuta, si trovano realmente tuttora in alcune situazioni di dipendenza. In esse le forze sono distribuite in modo così diseguale, che il più debole cerca la propria salvezza nel far finta di essere più stupido di quel che è. Pensiamo per esempio alla cosiddetta scaltrezza contadina; al comportamento dei domestici quando parlano con dei padroni colti e dalla lingua sciolta; ai rapporti del soldato con i superiori, dello scolaro con il maestro e del bambino con i genitori. Chi detiene il potere si sente meno provocato da un debole che non può, piuttosto che da un debole che non vuole. La stupidità lo riduce addirittura alla disperazione: cioè innegabilmente in una condizione di debolezza!
La stupidità sopisce la diffidenza
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