Credo d’aver già scritto nelle mie note che l’amore è molto simile a una tortura o a un’operazione chirurgica. Ma questa idea può venire sviluppata in modo amarissimo. Anche se i due amanti sono molto innamorati e colmi di reciproci desideri, uno dei due sarà sempre più calmo o meno invasato dell’altro. Quello, o quella, è l’operatore, ovvero il carnefice; l’altro, o l’altra, è l’assoggettato, la vittima. Sentite quei sospiri, preludi a una tragedia di disonore, quei gemiti, quei gridi, quei rantoli? Chi non li ha proferiti, chi non li ha irresistibilmente estorti? E che trovate di peggio nella tortura inflitta da scrupolosi seviziatori? Quegli occhi stralunati da sonnambulo, quelle membra i cui muscoli balzano e s’irrigidiscono come l’azione di una pila galvanica, l’ebbrezza, il delirio, l’oppio, nei loro effetti più furiosi, non ve ne daranno di certo esempi così singolari, così orrendi. E il volto umano, che Ovidio credeva modellato a riflettere gli astri, ecco che parla soltanto un’espressione di folle ferocia, o si allenta in una specie di morte. Perché, certo, crederei di fare un sacrilegio usando la parola estasi per questa specie di decomposizione.
– Spaventevole gioco in cui occorre che uno dei giocatori perda il dominio di sé!
Una volta fu chiesto in mia presenza in che consistesse il più grande piacere dell’amore. Qualcuno rispose con naturalezza: nel ricevere, – e un altro: nel donarsi. – Questi dice: piacere d’orgoglio! – e quello: voluttà d’umiltà! Tutti quei porci parlavano come L’Imitazione di Gesù Cristo. Ci fu poi un impudente utopista che asserì che il più grande piacere dell’amore era di formare cittadini per la patria.
Io, invece, dico: la voluttà unica e suprema dell’amore sta nella certezza di fare il male
. – E l’uomo e la donna sanno fin dalla nascita che nel male si trova ogni voluttà.
L’amore è molto simile a una tortura
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