Gli americani giravano per la città in abiti estivi, magliette e scarpe bianche. Il mattino che succedeva alla bufera molti di essi giacevano rannicchiati contro i portali delle chiese, coperti di giornali. Non riconoscevano le strade e i vicoli e giravano tutta la notte di bar in bar fino alla chiusura e ancora fino al mattino senza ritrovare la via delle caserme. Gastone il corista, che girava la notte cantando, morì in quei giorni, suicida; si buttò nel fiume una bella sera. Certe volte era lui a fare da guida agli americani e solcava a braccetto con loro la nebbia cantando il Trovatore, l’Otello, la Traviata. Un ragazzo negro si addormentò sotto un arco palladiano in una di quelle famose notti. Svegliatosi in mezzo alla piazza coperta di neve, spettrale alla luce delle lampade al mercurio, incanutì; in preda a un forte choc (tremava e piangeva, credendosi in un altro pianeta) fu portato all’ospedale dove fu interrogato: raccontò di uno strano sogno con versetti della Bibbia che si ripetevano ossessivi e disse che al risveglio, esattamente come nel sogno, gli era parso di vedere la piazza e il cielo notturno invasi da una nube di colombi bianchi.
Il mattino del 7 febbraio il cielo apparve coperto di elicotteri carichi di materiali. Per le strade giravano americani in tuta di gomma e scafandri: la città era deserta, non un’anima camminava per le strade e le piazze, coperte da quaranta centimetri di neve.
Lampade al mercurio
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