L’arte è fatta di individualità irriducibili. Ogni gesto artistico non è riconducibile a un concetto generale, è un’invenzione assoluta. Come l’etica del resto. Io sostengo appunto la distinzione radicale tra l’etica e la morale. La morale è ogni sistemazione di regole che in base a un potere – che può essere quello di una religione, quello di un sovrano, quello di un comandante militare – vengono imposte a degli individui che devono obbedire. Obbedire alla regola è un atto morale. Naturalmente si distingue l’atto morale, nel senso più proprio della parola, dall’alto giuridico, che è quello di regole alle quali non si può disobbedire senza conseguenze fisicamente personali. Viceversa l’atto morale è il conformarsi a delle regole che non necessariamente portano con sé un’afflizione fisica, ma certamente portano un’afflizione morale. Il prete dice: «Tu sei un peccatore! Tu andrai all’inferno!». Questa è morale. L’etica, invece, ha un altro significato. Morale viene da mos, costume, abitudine, conformità. Ethos viene da una parola greca, ethos con la etha; sempre va sottolineato che in greco ci sono due ethos, l’ethos con la etha e l’ethos con la epsilon. Con la epsilon ha lo stesso significato di mos latino, cioè costume. Ma il termine Etica, da Eticà, le cose etiche, coniato da Aristotele, nasce dal termine ethos con la etha. Infatti tha ethica si scrive con la etha. Ethos, scritto con la etha, in un secondo momento finisce per diventare mos, abitudine ecc., ma in un primo momento significa ben altro. Significa la residenza, la casa, il luogo dove io svolgo la mia vita e dove io mi muovo liberamente, perché è il mio, l’intimità. Quindi non è, l’Etica, il luogo della soggezione a un comando esterno, ma è quello viceversa in cui sono continuamente posto di fronte a problemi per risolvere i quali magari non ho precedenti, la debbo inventare la soluzione. Quindi non è conformistica, è creativa. Quindi mentre la morale è un atteggiamento relativo, relativo al comando, all’imperativo, l’Etica è semplicemente l’espressione della mia invenzione di fronte a una situazione che mi angustia e perché mi angustia? Mi angustia perché in questa situazione ne va non soltanto della mia vita ma anche della vita di altri esseri umani. Quindi torniamo all’origine, a quell’elemento intersoggettivo che ha fondato la mia umanità. Come potrei non essere sensibile nel profondo al destino di un altro se la mia stessa vita, così come io la vivo, non fosse stata suscitata, messa in movimento dal mio rapporto con un altro essere umano? Ecco, ora questo appunto è l’aspetto anche etico della psichiatria fenomenologica, su cui lo stesso Binswanger molto insiste. È quel mondo di pensieri in cui si muoveva Bruno Callieri, in cui si muove Di Petta e in cui mi muovo io non da psicologo, ma da filosofo. Sia pure sottolineando sempre che il filosofo non può dare nessuna sentenza, proprio perché consapevole che ciò di cui egli si occupa profondamente è il patico, il quale patico è irriducibile a ogni concetto, genere. Ogni pathos è il mio e nel momento in cui lo provo, e basta. Come filosofo io cerco di mettere in luce questo limite alla conoscenza spesso presuntuosa dell’uomo.
L’aspetto della psichiatria fenomenologica
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