L'autoannientamento della letteratura secondo MallarméLe Belle Lettere minacciano ogni linguaggio che non sia puramente fondato sulla Parola sociale. Rifuggendo sempre più da una sintassi del disordine, la disintegrazione del linguaggio conduce inevitabilmente al silenzio della scrittura. L’agrafia finale dei Rimbaud e di certi surrealisti (caduti per questo nell’oblio), questo sconvolgente autoannientamento della Letteratura, insegna che, per certi scrittori, il linguaggio, prima e ultima risorsa del mito letterario, finisce col ricomporre ciò che pretendeva di evitare, che non c’è scrittura capace di mantenersi rivoluzionaria, e che ogni silenzio della forma sfugge all’impostura solo col mutismo completo. Mallarmé, sorta di Ámleto della scrittura, esprime bene questo fragile momento della Storia, in cui il linguaggio letterario si regge soltanto per meglio cantare la sua necessità di morire. L’agrafia tipografica di Mallarmé vuol creare intorno alle parole rarefatte una zona di vuoto in cui la Parola, liberata dalle sue risonanze sociali e colpevoli, cessa felicemente di destare echi. Il vocabolo, liberato dalle scorie delle formule abituali, dei riflessi tecnici dello scrittore, è allora pienamente irresponsabile di tutti i possibili contesti; si avvicina con un gesto breve, isolato, la cui opacità attesta una solitudine, dunque un’innocenza. Quest’arte ha esattamente la struttura del suicidio: in essa il silenzio è un tempo poetico omogeneo che si incunea tra due strati e fa esplodere la parola, ancor più del frammento di un crittogramma, come una luce, un vuoto, un omicidio, una libertà (si sa quanto questa ipotesi di un Mallarmé uccisore del linguaggio abbia influito su Maurice Blanchot). Questo linguaggio mal-larmeiano, è Orfeo che può salvare chi ama solo rinunciandovi e che tuttavia osa voltarsi un po’ indietro; è la letteratura condotta alle porte della Terra Promessa, cioè alle porte di un mondo senza Letteratura, di cui tuttavia sarebbe ancora compito degli scrittori dare testimonianza.

Crediti
 Roland Barthes
 Il grado zero della scrittura
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Quotes per Roland Barthes

Ma allora finisce? Nessuno - salvo gli altri - lo sa mai; una specie d'innocenza nasconde la fine di questa cosa concepita, propugnata e vissuta come eterna. Qualunque sia la fine dell'oggetto amato, sia che esso scompaia o passi nella sfera Amicizia, io non lo vedo neanche svanire: l'amore che è finito si allontana verso un altro mondo come un'astronave che cessa di mandare segnali: l'essere amato che prima segnalava chiassosamente la sua presenza, diventa tutt'a un tratto muto.

Non siamo abbastanza sottili per scorgere lo scorrimento probabilmente assoluto del divenire; il permanente non esiste se non grazie ai nostri organi grossolani che riassumono e riconducono le cose a piani comuni, laddove niente esiste in questa forma. L'albero è ad ogni istante una cosa nuova; noi affermiamo la forma perché non cogliamo la sottigliezza di un movimento assoluto.  Il piacere del testo

La fotografia è inganno perché suggerisce l'illusione dell'eternità. Ma ciò che la fotografia riproduce all'infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi nell'esistente.

«Sono innamorato? Sì, poiché aspetto». L'altro invece non aspetta mai. Talvolta ho voglia di giocare a quello che non aspetta; allora cerco di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta.

...nulla di speciale, afferma lo haiku conformemente allo spirito zen: l'evento non è classificabile secondo alcuna specie, la sua eccezionalità non approda a nulla; come un ricciolo grazioso, lo haiku s'arrotola su sé stesso; la scia del segno che sembra sia stata tracciata, si cancella: nulla è stato acquisito, la pietra della parola è stata gettata inutilmente: non ci sono né onde né colate di senso.  L'impero dei segni


Riferimenti