Infatuato della Destra, il giovane credeva di dover udire cose molto amare pel suo partito, poiché il professore godeva fama di progressista ad ogni costo; invece, con suo grande stupore, egli criticava tutt’e due i partiti, ma più il proprio che il contrario. Un giorno che lo accompagnava solo, senza nessuno dei compagni di studio, il suo stupore crebbe vedendolo entrare negli uffici dell’Italiano, il giornale della vecchia Destra. Egli credeva che gli avversari politici non si potessero incontrare se non sul terreno della lotta; che tra loro non ci potesse essere tregua: che cosa andava dunque a fare Satta, il liberale ardito, tra i conservatori più rigidi?
Seppe più tardi che il professore era amico di Cusagrande; ma questa amicizia pareva impossibile al giovane che le sue amicizie giovanili aveva sacrificato all’ideale politico. Ammaestrato dall’esperienza, s’era proposto, entrando nello studio, di star guardingo, di conoscere bene le idee dei nuovi compagni prima di stringere relazione con loro; ma egli non riusciva a sapere quali fossero queste idee. Non che essi evitassero di parlare di politica; anzi, non parlavano quasi d’altro, non facevano altro, nelle lunghe ore d’ozio, che leggere e commentare gli articoli dei giornali; ma nessuno d’essi dimostrava d’aver fede in un partito. Dicevano male di tutti, demolivano allegramente reputazioni di capi-parte e di giornalisti che Ranaldi credeva superiori al sospetto; ma ognuno di essi aveva pronti una quantità di rimedii per correggere i vizi della Camera, per instaurare la perduta moralità parlamentare: idee più o meno bislacche, ricette da farmacie politiche, proposte che facevano a pugni, dirette ad ottenere uno stesso risultato: restrizione del voto appena allargato, oppure suffragio addirittura universale; un solo deputato per provincia, oppure un’assemblea di mille legislatori; il referendum popolare oppure l’elezione di secondo, di terzo, di quarto grado. Le discussioni prolungavansi indefinitamente, erano riprese da un giorno all’altro, con nuova lena, secondo che nelle notizie parlamentari o negli articoli dei giornali ciascuno trovava nuovi argomenti. Federico stava a udire, col proposito di tenere per sé le proprie idee, poco allettato da quel genere di discorsi; ma i suoi compagni non ne facevano altri. Uno specialmente, Filippo Russo, ci metteva molta passione: per alleggerire alla famiglia il carico del suo mantenimento a Roma, mandava corrispondenze a parecchi giornali di provincia, di diversa tradizione politica; e la sua tesi era appunto questa: che ormai le antiche distinzioni di Destra e Sinistra non avevano più senso; che quattrocento deputati, sopra cinquecent’otto, pensavano allo stesso modo e volevano le stesse cose.
Le antiche distinzioni di Destra e Sinistra non avevano più senso
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