Chi ha un minimo di esperienza mondana sa che il settanta per cento delle energie, in qualsiasi azienda, va speso non già per produrre, ma per impedire agli altri di fare qualcosa. È questa la causa fondamentale di tutte le crisi, politiche, industriali, aziendali. Succede dunque anche nelle industrie culturali. Arriva un manoscritto, c’è da decidere se pubblicarlo, viene persino letto, e subito salta fuori qualche sciocco a dare parere affermativo, a dire che è bello, che venderà. La parola fa paura: se fosse poi vero?
In tal caso il merito della scoperta andrebbe tutto a quell’incauto che ha parlato per primo. Bisogna impedirglielo a tutti i costi. E infatti nessuno ha mai sentito consensi unanimi su un libro nuovo, specialmente se è buono. Tutti quelli che poi hanno avuto successo di vendita e vinto premi letterari importanti, mentre erano ancora manoscritti, sono stati respinti da almeno tre editori. E questo non perché chi giudica, dentro le case editrici, sia analfabeta e cretino, ma per la ragione che si è detta: le marcature strette.
Proprio sul libro buono, dunque, si formano due fazioni contrapposte, agguerrite ed equipollenti: quella degli scopritori, che ne sollecitano la pubblicazione, e quella dei detrattori, che la osteggiano. Le forze sono eguali, diciamo tre contro tre. È il momento buono per intervenire: basta un no perché il vaso trabocchi. Ma è sempre meglio un sì: nel peggiore dei casi avremo conquistato un amico, l’autore. Ero favorevole, gli si dirà per telefono (mai per iscritto), ma gli altri, cosa vuole, non hanno capito l’importanza…
Una volta presa la decisione, bisogna sostenerla fino in fondo. Bisogna spostare la marcatura, dalla produzione alla pubblicità, diciamo pure alla promotion. Ora, non si commetta lo sbaglio di credere che la pubblicità di un libro si faccia realmente nella stanzetta che ha sulla porta il cartellino «ufficio stampa». No, la pubblicità vera si fa dopo cena nei salotti giusti, fra un whisky e l’altro, in poltrona, discorrendo straccamente di letteratura con le persone che contano. Gli uffici servono, al massimo, per schedare i ritagli dell’Eco della Stampa, e per mandare le copie in omaggio, di solito inutilmente.
Le decisioni vere si pigliano in salotto, possibilmente nel salotto di casa nostra, perché lì noi abbiamo il vantaggio del fattore campo. Le marcature sono facili, perché, come si è spiegato nella quarta lezione, gli uomini che contano sono tutti nostri fratelli maggiori. È nostra moglie, in sostanza, che da sola li marca tutti.
Non leggete i libri - fateveli raccontare
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