
Heidegger ha affrontato il problema che qui discutiamo ad esempio nella sua conferenza sulla questione della tecnica, tenuta a Monaco di Baviera nel 1953: in questo testo, sebbene vi sia un riferimento costante all’incipiente crisi ambientale, non vengono mai nominati gli aspetti specifici attraverso cui tale crisi si manifesta.
Per Heidegger il modo di pensare della filosofia moderna non offre più alcuna possibilità di fare esperienza – col pensiero – dei lineamenti fondamentali dell’età della tecnica che è soltanto al suo inizio. Al pensiero si presenta così un compito inaudito, perché al segreto della strapotenza planetaria dell’essenza della tecnica, corrisponde il non apparire del pensiero che tenta di pensare questo impensabile. D’altra parte sarebbe vano chiedere aiuto alla scienza perché, per Heidegger, la scienza non pensa. E non pensa non perché non usi il pensiero; ma perché, in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti, non può pensare nel modo in cui pensa il pensiero meditativo. Che la scienza non sia in grado di pensare, del resto, non è per nulla un difetto precisa Heidegger – ma un vantaggio. Solo in virtù del suo non pensare, la scienza può dedicarsi alla ricerca su singoli ambiti e tabilirsi in essa.
La preoccupazione filosofica di Heidegger è dunque fondata: Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un dominio completo della tecnica. Più inquietante è che l’uomo non sia preparato a questo radicale mutamento. Ed ancora più inquietante è che non siamo capaci di raggiungere, attraverso un pensiero meditativo, un adeguato confronto con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca. A questo compito Heidegger si è ripetutamente dedicato – nel più ampio orizzonte del suo pensiero che però converge sul tema dell’impensabilità dell’età della tecnica moderna – in un periodo che va dalla metà degli anni ‘30 al 1953. Dal 1953 fino al ‘68, Heidegger è tornato più volte su questo tema, ma soprattutto per ribadire l’incalzare della preoccupazione filosofica per l’impreparazione del pensiero di fronte all’era della tecnica planetaria. Egli avvertiva che, pur essendosi incamminato. sul sentiero giusto, non riusciva ad andare più avanti e doveva limitarsi soltanto ad indicare una direzione di marcia. Del resto la famosa invocazione di Heidegger, dalla quale è stato ripreso il titolo dell’intervista del 1968 Ormai solo un dio ci può salvare, è l’invocazione a un dio sconosciuto e contumace, particolarmente amara ed enigmatica se si tiene conto che proviene da chi rimpiange con Holderlin la sparizione degli dei dell’Olimpo greco, e da chi ha dedicato parte delle sue riflessioni al commento della sentenza di Nietzsche, Dio è morto. La constatazione heideggeriana dell’impensabilità dell’età della tecnica moderna provoca l’insorgere della questione filosofica del nostro tempo.
La domanda è questa: se non riusciamo a comprendere nulla di ciò che sta accadendo di immensamente vicino a noi e che ci coinvolge totalmente, non vuol dire forse che il rischio supremo per l’uomo di cui parlava Heidegger – cioè l’avvento del nichilismo nella forma di dominio onniperversivo della tecnica moderna – è ormai diventato un destino compiuto? E da questa impensabilità del presente non è forse decretata anche l’impossibilità di stabilire un rapporto significativo del pensiero col passato e col futuro – con tutte le implicazioni che ciò comporta sul piano della conoscenza e dei valori? E nel quadro di tali domande che assumono enorme rilievo le riflessioni di Heidegger sull’essenza della tecnica moderna.
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