Gli parve di diventare un enorme Occhio senza palpebre, un immenso Sguardo fisso sulla mente del cielo al di sopra dell’esausta pergamena della terra. E in un attimo di terribile visione, vide stampata sotto di sé una profezia agghiacciante di desolazione e di perdita. Vide le risacche lente e maestose dei mari lambire in eterno le spiagge del mondo intero; vide la duplice e gigantesca cadenza della vita – la zona torrida della terra, inghirlandata di frutta e fuoco e fiori; i poli invincibili, congelati nel ghiaccio smeraldino; l’alternarsi di luce e tenebra – l’eterno ritmo di sonno e risveglio.
E vide l’ossatura dei continenti: il sottile manto erboso delle pianure, le cosce rigonfie delle colline, le lunghe, magre costole delle montagne; le zanne bianche e feroci delle Alpi scoperte in un ringhio sulla faccia tormentata dell’Europa, il miraggio desertico delle Montagne Rocciose irraggiungibile, le sommità ignote delle Ande abitate dai condor. E guardò la giungla velenosa dei tropici, gli abissi verdi della morte e della bellezza dove, sui dischi scarlatti di fiori letali, la tarantola la vipera e l’aspide si nutrono e si intossicano del loro stesso veleno.
E vide gli occhietti vitrei del serpente nascosto tra le proprie spire, occulto e invisibile tra la vegetazione rigogliosa in riva ai torrenti. Scrutò la giungla in cui nessuno ha tracciato sentieri; le reti della terra in cui la morte penzola dai rami; dove la vita, come un idiota, divora incessantemente sé stessa, mangia ed è mangiata, e fruttifica grazie alla propria decomposizione. Vide l’anaconda avvolgersi attorno al mulo e strangolarlo, il bradipo disgustoso che dorme a testa in giù appeso per le zampe, il muso schifoso e abortito del tapiro, la corazza rumorosa dell’armadillo.
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