Un quadro non deve raffigurare nulla e non deve raccontare nulla. È la base. Se volete raccontare qualcosa bisogna che vi esercitiate nelle discipline narrative. Un quadro non ha nulla a che fare con un racconto, non è un racconto. Allo stesso tempo, esistono le narrazioni e le raffigurazioni; sono dati già prima che il pittore abbia cominciato a dipingere. Sono lí, sulla tela.
Esiste un certo numero di quadri che potrebbero essere molto belli e di cui sappiamo già che non sono dei grandi quadri proprio perché non potete impedire a voi stessi di chiedervi: ma che cos’ è successo? Non solo: che cosa rappresenta? Ma anche: che cos’è successo? Per esempio, quella di Greuze è una pittura narrativa. C’è un quadro molto bello di non so piú quale olandese che rappresenta un padre che rimprovera sua figlia. La figlia è vista di spalle, con una spalla inclinata. Non si può vedere questo quadro – non si devono comunque tendere delle trappole a questo punto – senza domandarsi: qual è l’espressione della figlia? Non va bene. Può essere molto ben fatto, formidabile, ma non si tratta di grande pittura. E davvero un quadro inseparabile da una narrazione. Non funziona. Ciò che m’infastidisce terribilmente in un pittore contemporaneo, che è comunque molto bravo, come Balthus è che si ha costantemente l’impressione che l’immagine sia presa, prelevata, da qualcosa che accade. C’è una storia lí. Capisco che quelli che adorano Balthus possano forse reputare odioso quel che vi dico. E allora elimino, cancello quest’esempio cosí infelice.
L'egoismo anarchico contro l'equivalenza ⋯
Ho notato che nella società attuale tutte le azioni umane qualunque siano sono equivalenti. Così una lirica ha lo stesso valore di un metro cubo di muratura. Tutto ciò è possibile solamente dopo l'89 ed i grandi principii. Ma tutto ciò non significa ridur l'uomo al minimo comun denominatore? Per quanto il mio egoismo comprenda l’egoismo delli altri e si faccia in là per lasciargli posto, non vorrà certamente sacrificarsi in prò di un contadino, mi dia pure il frumento per il pane. Io sono abituato a mangiare idee: la pasta mi fa indigestione. Perché dunque questa equivalenza? - Il mio individualismo anarchico sorge da questa domanda vittorioso.
Gian Pietro Lucini Prose e canzoni amare
Scapigliatura, Anarchismo, Critica socialeOsservare il mondo da una finestra ⋯
Mattia aveva sempre vissuto nel silenzio e nell'isolamento. Era abituato a guardare il mondo da una finestra, senza mai partecipare veramente.
Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi
Letteratura contemporanea, Romanzo di formazione, NarrativaLa bellezza è una pausa tra due clichés ⋯
La bellezza è una tirata di fiato fra due cliches.
Ezra Pound Hugh Selwyn Mauberley
Poesia modernista, Estetica, PoesiaLa coerenza di un'identità immutata ⋯
Avevamo finito di cenare. Davanti a me il mio amico, il banchiere, grande commerciante e monopolista ragguardevole, fumava come chi non ha pensieri. La conversazione che era andata spegnendosi, giaceva ormai morta tra di noi. Cercai di rianimarla, a caso, servendomi di un'idea che mi passò per la mente. Sorridendo, mi rivolsi a lui.
«Pensi: alcuni giorni fa mi hanno detto che lei un tempo è stato anarchico...».
«Non è che lo sia stato: lo sono stato e lo sono. Non sono cambiato a questo riguardo. Sono anarchico».
Fernando Pessoa Il banchiere anarchico
Racconto, Modernismo, Filosofia politicaLa pennellata che rivela l'inconscio ⋯
L'arte è uno specchio della psiche, dove ogni pennellata rivela emozioni represse e conflitti inconsci
Lev Vygotskij Psicologia dell'arte
Psicologia, Estetica, Saggio
Contro l’interpretazione di Susan Sontag
In questo saggio iconico, Sontag attacca la tendenza della critica moderna a privilegiare l’interpretazione e la ricerca del contenuto (la storia) a discapito dell’esperienza sensoriale dell’opera. Sostiene che l’interpretazione addomestica l’arte e propone al suo posto una erotica dell’arte, un’attenzione alla forma e alla superficie. Questo approccio si sposa perfettamente con l’idea del testo che la grande pittura non debba raccontare nulla, ma semplicemente essere, liberandosi dal peso della narrazione che la soffoca.
Il visibile e l’invisibile di Maurice Merleau-Ponty
Il filosofo esplora la pittura non come una riproduzione di oggetti, ma come un’interrogazione del mondo visibile. Il pittore, attraverso il suo corpo, fa emergere la carne del mondo, l’essenza stessa della visione. Per Merleau-Ponty, un quadro non racconta una mela, ma ne fa emergere la melescità. Questa concezione supera la narrazione e si concentra sul fatto pittorico puro, esattamente come descritto nel testo, dove la storia è un cliché che impedisce di vedere.
La camera chiara di Roland Barthes
Barthes, analizzando la fotografia, distingue tra studium e punctum. Lo studium è l’aspetto culturale, narrativo e comprensibile di un’immagine, ciò che ci permette di dire questo quadro rappresenta un padre che sgrida la figlia. Il punctum, invece, è il dettaglio che ci punge, che sfugge alla narrazione e ci colpisce a livello puramente affettivo. La grande pittura, secondo la logica del testo, è quella che si libera dello studium per privilegiare un’esperienza più vicina a quella del punctum.
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