
Nella lettera del 1963 scritta al figlio di Eichmann, dopo il processo e la condanna a morte di suo padre in Israele, Anders, nel tentativo di andare alle radici di quella mostruosità che fu lo sterminio di sei milioni di ebrei, scrive: «
L’inadeguatezza del nostro sentire non è un semplice difetto fra i tanti; non è neppure soltanto peggiore del fallimento della nostra immaginazione o della nostra percezione; essa è invece addirittura peggiore delle peggiori cose che sono già accadute; e con questo voglio dire che essa è persino peggiore dei sei milioni [di morti della Shoah]. Perché? Perché è questo fallimento che rende possibile la ripetizione di queste terribilissime cose; ciò che facilita il loro accrescersi; ciò che probabilmente rende addirittura inevitabili questa ripetizione e questo aumento. Infatti a incepparsi non sono solo i sentimenti dell’orrore, della stima o della compassione, bensì anche il sentimento della responsabilità. Per quanto possa sembrare infernale, anche per quest’ultimo valgono le medesime cose che valevano per l’immaginazione e la percezione: esso si fa tanto più debole quanto più aumenta l’effetto a cui miriamo o che abbiamo già raggiunto; diventa cioè uguale a zero. E questo significa che il nostro meccanismo d’inibizione si arresta del tutto non appena si sia superata una certa grandezza massima. E poiché vige questa regola infernale, ora il mostruoso ha via libera»
G. Anders, Wir Eichmannsöhne, 1964.
L’esperimento nazista – non per la sua crudeltà, ma per l’irrazionalità che scaturisce dalla perfetta razionalità di un’organizzazione che cresce su sé stessa al di fuori di ogni orizzonte di senso, dove, come nel caso di Stangl,
sterminare assume il semplice significato di
lavorare – può essere assunto come quell’evento che segna l’atto di nascita dell’età della tecnica.
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