Cosa significano le opposizioni d’idee tra apollinei e dionisiaci, che ho introdotte nell’estetica, tutte e due considerate come delle categorie dell’ebbrezza? — L’ebbrezza apollinea produce innanzitutto l’irritazione dell’occhio che dà all’occhio la facoltà di visione. Il pittore, lo scultore, il poeta epico sono dei visionari per eccellenza. Nello stato dionisiaco, al contrario, tutto il sistema emotivo è irritato e amplificato: in modo ch’esso scarica in un sol colpo tutti i suoi mezzi di espressione, espellendone la sua forza d’imitazione, di riproduzione, di trasfigurazione, di metamorfosi, ogni specie di mimica e di arte di imitazione. La facilità della metamorfosi rimane l’essenziale, l’incapacità di non reagire (— allo stesso modo che presso certi isterici, i quali, obbedendo a tutti i gesti, entrano in tutti i ruoli). L’uomo dionisiaco è incapace di non comprendere affatto una qualunque suggestione, non lascia sfuggire nessun segno di emozione, possiede al più alto grado l’istinto comprensivo e divinatorio, come possiede al più alto grado l’arte di comunicare con gli altri. Sa rivestire tutte le apparenze, tutte le emozioni: si trasforma incessantemente. — La musica, come noi oggi la comprendiamo, non è egualmente che una irritazione ed un completo scarico delle emozioni, ma non rimane meno solamente il frammento di un mondo di espressioni emotive ben più ampio, un residuo dell’istrionismo dionisiaco. Per rendere possibile la musica, in quanto arte speciale, si è immobilizzato un certo numero di sensi, prima di tutto il senso muscolare (almeno fino ad una certa misura: giacché da un punto di vista relativo, ogni ritmo parla ancora ai nostri muscoli): in modo che l’uomo non possa più imitare e rappresentare corporalmente tutto ciò ch’egli sente. Tuttavia è questo il vero stato normale dionisiaco, in ogni caso lo stato primitivo; la musica è la specificazione di questo stato, specificazione raggiunta lentamente, a detrimento delle facoltà vicine.
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