Aristotele definisce con molta esattezza la condizione dello schiavo, dicendo che è uno strumento animato: una specie di macchina che offre il vantaggio di capire e di sapere più o meno eseguire gli ordini, uno strumento che appartiene a un altro uomo: una cosa, di cui un altro è il proprietario.
L’unica garanzia dello schiavo è l’interesse del suo padrone. Al padrone non conviene rovinare il suo strumento. Aristotele osserva a questo proposito: Dello strumento bisogna avere cura, nella misura in cui è buono al lavoro. Quando, dunque, uno schiavo è un buon strumento di lavoro, conviene nutrirlo a sufficienza, vestirlo meglio, concedergli il necessario riposo, autorizzarlo a crearsi una famiglia, e infine lasciargli intravedere la speranza di quella suprema, rarissima ricompensa che sono l’affrancamento, la libertà. Anche Platone insiste sull’interesse che ha il padrone a trattar bene lo schiavo. Per Platone però lo schiavo è… soltanto un bruto(!), ma bisogna che questo bruto non trovi intollerabile la sua condizione servile (la quale, secondo il filosofo, deriva da un’ineguaglianza che è nella natura stessa delle cose) Dunque è necessario trattare bene il bruto a nostro vantaggio, precisa, più che a vantaggio suo. Bel modo di ragionare, non vi pare?
L’interesse del suo padrone
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