La scoperta della scrittura avrà l’effetto di produrre la dimenticanza nelle anime che l’impareranno, perché, fidandosi della scrittura, queste si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesime.
Questo ci dice Platone, altri tempi, gli stessi sopraggiunti, nel transitare per questa invenzione tecnica, che è stata l’alfabeto. Lo stesso filosofo che tanto ha scritto, non sta di certo denigrando un mezzo così portentoso, ma avrà certo avuto modo di constatare, oltre il beneficio, quegli effetti negativi, che ogni mezzo di per sé neutro, sempre comporta. Ogni passaggio, lo stesso insegnamento che avveniva oralmente, è ora mediato dalla scrittura, da questi segni, che restando esterni ed estranei, non ci percorrono più all’interno, non ci toccano, non si fanno sangue, e di conseguenza, non possono nutrirci, né mantenere il nostro essere umani. Il corpo ormai distanziato dalla psiche si fa macchinale, e in quello spazio, scorre la differenza, fra quella che è funzione mnemonica e il reale vissuto di ciò che si ascolta, dove memoria è ancora essere, e non elaborazione di quella parte del cervello, che non è mai l’insieme. Ecco che allora, o la scrittura si fa forma vitale o sarà inevitabilmente tecnica, e se vogliamo restare umani, questa va considerata allo stesso modo, della forma orale, seppur attraverso la lettura, qualora il movimento non riguardi il solo occhio e cervello che scorrono sui segni visibili, ma si fa ascolto metafisico, nella partecipazione di tutto l’essere. Perché di questo si nutre nonostante tutto, quella scrittura che non rinuncia al proprio esistere, e che per ciò, fa appello non alla sola azione del leggere, ma a un ascolto totale, affinché dentro e fuori, siano una cosa sola e un solo movimento. Penso che la scrittura sia una sorta di identificazione. Soltanto se fai vedere al lettore la scena usando un occhio interno riesci a mantenere la sua attenzione. Sono queste le parole di Anne Holt, quell’occhio interno, è la stessa attenzione che percorre il vissuto, e con cui identificandoci solo siamo; e così si scrive, vedendo e vivendo, con quel sé medesimo che è qui ancora oralità seppur nello scritto, e la stessa attenzione di chi scrive, non può non attirare quella altrui, a fare lo stesso percorso. Solo di questo in fondo si tratta, dato che: L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci s’accorge che quel che si sapeva è proprio un nulla. E allora, da Italo Calvino ad Aldo Busi: Ogni volta che vi si presenti l’occasione di essere più tentati dalla vita che dallo scriverne, siate suicidali: il resto viene da sé. E viene bene, quando non sei, affinché scrittura sia a venire ad essere, in quel fluire, fra presenza e assenza, fra vita e morte, fra chi legge e si fa ascolto di chi a sua volta ha scritto, in questo passaggio nell’essere e nel suo movimento reale, tant’è che: La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità. E da Marguerite Duras come per incanto: Mosso dalla scrittura fatale, e se il metro sempre futuro incatena senza ritorno la mia memoria, io risento ogni parola in tutta la sua forza, per averla infinitamente attesa. Questa misura che mi trasporta e che io coloro, mi protegge dal vero e dal falso. Né il dubbio mi divide né la ragione mi affatica. Nessun caso, ma soltanto una sorte felice si fortifica. Io trovo senza sforzo il linguaggio di questa felicità; e artificiosamente penso un pensiero tutto certo, meravigliosamente preveggente, dalle pause calcolate, senza tenebre involontarie, il cui moto mi domina e la quantità mi colma: un pensiero eccezionalmente compiuto. Siamo sfociati con Paul Valéry, nello stesso ignoto, e in quel silenzio che si fa suono, parola, pur restando intatto com’è, in questo passaggio compiuto nell’essere con tutto il suo essere. Ecco che allora, o siamo quel sé medesimo o non siamo, e non abbiamo né scritto né vissuto, se non, in una realtà imparata attraverso i segni, che sono poi, i soli protagonisti, non per niente, ci si dice Io, ma giustappunto, solo un segno tra i segni.
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