Cercate Dante negli estremi e non ve lo troverete. Nondimeno gli uomini di parte hanno voluto tirar Dante dalla loro, ciascuno con le sue buone ragioni. Chi ci trova il cattolico, chi l’eretico, chi l’esaltato, chi il moderato. Come hanno veduto il suo carattere da un punto solo, e così le sue opinioni. È un Dante spogliato d’una parte di sé e collocato ad un estremo.
Fu lo specchio della maggioranza. E come nella maggioranza si agitano confusamente il passato e l’avvenire, così in Dante troverete due uomini mescolati, l’uomo del passato e l’uomo dell’avvenire. D’intenzione cattolico, non fu né cattolico in tutto, né in tutto eretico. Col suo cattolicismo trovi congiunta una guerra appassionata contro la corruzione del papato e certe opinioni ardite che rivelano già una vaga inquietudine, confuse aspirazioni, che più tardi penetrarono nella coscienza. Del resto la questione per lui, come per i più, non è religiosa, ma politica. E se bolle di sdegno, se minaccia, se riprende, se impreca, gli è perché ha dirimpetto a sé non una religione nemica, ma una politica nemica. Pure nella stessa politica, le sue opinioni si mantengono in un certo «medium», dove, se dominano le idee ghibelline, non sono cacciate via le idee care ai guelfi. Che se vuole il papato corretto, rispetta la sua indipendenza; se vuole i comuni ubbidienti all’impero, rispetta le loro libertà; se vuole le nazioni unificate, rispetta la loro autonomia. Ben comprendo che l’effettuazione del suo sistema avrebbe distrutte tutte queste cose. Ma Dante le voleva. Ed i guelfi fecero bene ad ubbidire piuttosto alla logica che a Dante.
Questo sistema, non rimase una pura e serena speculazione, come la repubblica di Platone, ma s’impossessò di tutto intero l’uomo. Fu non solo la sua convinzione, ma la sua fede. E la fede è, non solo credere, ma volere, amare, operare; è non solo pensiero, ma sentimento ed azione. Dante ebbe fede.
Ebbe fede in Dio, nella virtù, nella patria, nell’amore, nella gloria, nei destini del genere umano. La sua fede è sì vivace che le sventure e i disinganni non possono affievolirla, nutre sino alle ultime speranze di prossima redenzione, e muore in tutta la giovinezza delle sue illusioni e delle sue passioni. Chi mi sa dire quando Dante si è sentito vecchio; quando la penna gli si è illanguidita nella mano?
La fede è amore; è non solo sapienza, ma amore della sapienza; non solo sofia, ma filosofia. E la filosofia è amore di Dante, la sua seconda Beatrice, «l’amor che nella mente gli ragiona» (Convivio, III). Filosofia è «amoroso uso di sapienza, figliuola di Dio, Regina del mondo» (Convivio, III, 12); quando Iddio mosse le sfere, ella era presente: «Costei pensò chi mosse l’universo.» (Amor che nella mente mi ragiona – Convivio, III,72).
La filosofia fu dunque per Dante la scienza delle divine ed umane cose, la scienza del mondo, il contenuto universale, nel quale trovava determinati tutti gli oggetti della sua fede: Dio, virtù, umanità, amore, ecc. Fu non solo speculazione di dolcissime verità, ma fondamento della vita, e vi conformò le sue azioni.
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