Pavel Kuczynski
In questi ultimi anni, tra il finire del XX secolo e gli inizi del XXI, l’idea stessa di politica è stata stravolta dal velocissimo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, soprattutto dalla digitalizzazione. La politica neo- liberale (che di liberale non ha nulla, anzi ne è la negazione), proclamata e purtroppo dominante a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si dispiega ormai tutta nel modo nuovissimo, che la tecnologia digitale oggettivamente comporta rovesciando a fondo la forma stessa dell’essere sociale. Nel Novecento la filosofia politica aveva assunto come fondamentale categoria la bio- politica. Sulla scia delle riflessioni di Walter Benjamin e delle analisi di Michel Foucault, la politica dell’età moderna apparve come il decisore supremo del modo d’essere significativo dell’individuo ridotto per il resto a irrilevanza di nuda vita. Alla politica spettava la gestione totale dell’umano civile, secondo il modello della società disciplinare, basata sul controllo massivo dei corpi. Della vita insomma, nel bene e nel male, la politica sembrava disporre interamente: ne curava tutti i bisogni, come nello Stato del Welfare, o al contrario la annientava come nei campi dello Stato nazista. Nel Duemila il quadro appare radicalmente mutato. Categoria fondamentale della filosofia politica è ora la psicopolitica. Deperito lo Stato, il potere sociale si è dislocato altrove, appunto in quei luoghi senza luogo, i social, i cui soci sono moltitudini senza società, folle indifferenziate che in cambio di banali comodità cedono informazioni personali. Un siffatto potere non si esercita sui corpi, ma sugli animi.

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