In questi ultimi anni, tra il finire del XX secolo e gli inizi del XXI, l’idea stessa di politica è stata stravolta dal velocissimo sviluppo delle tecnologie della comunicazione, soprattutto dalla digitalizzazione. La politica neo- liberale (che di liberale non ha nulla, anzi ne è la negazione), proclamata e purtroppo dominante a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si dispiega ormai tutta nel modo nuovissimo, che la tecnologia digitale oggettivamente comporta rovesciando a fondo la forma stessa dell’essere sociale. Nel Novecento la filosofia politica aveva assunto come fondamentale categoria la bio- politica. Sulla scia delle riflessioni di Walter Benjamin e delle analisi di Michel Foucault, la politica dell’età moderna apparve come il decisore supremo del modo d’essere significativo dell’individuo ridotto per il resto a irrilevanza di nuda vita. Alla politica spettava la gestione totale dell’umano civile, secondo il modello della società disciplinare, basata sul controllo massivo dei corpi. Della vita insomma, nel bene e nel male, la politica sembrava disporre interamente: ne curava tutti i bisogni, come nello Stato del Welfare, o al contrario la annientava come nei campi dello Stato nazista. Nel Duemila il quadro appare radicalmente mutato. Categoria fondamentale della filosofia politica è ora la psicopolitica. Deperito lo Stato, il potere sociale si è dislocato altrove, appunto in quei luoghi senza luogo, i social, i cui soci sono moltitudini senza società, folle indifferenziate che in cambio di banali comodità cedono informazioni personali. Un siffatto potere non si esercita sui corpi, ma sugli animi.
Lo Stato del Welfare
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