Comparve una ragazza più giovane di quella che aveva servito il caffè e Farnenti la prese per mano trascinandola di fronte a noi.
«Caro Contardi», spiegò come se dovesse sottoporgli notizie tecniche «il bananeto si taglia al momento giusto, con occhio da esperto e qua ci vuole almeno ancora un anno».
Anche Farnenti era venuto a schierarsi dalla nostra parte, per rimirare la ragazza come spettatore disinteressato, al pari di noi. Disse ancora: «In attesa del giorno buono bisogna avere cura del bananeto». Si rivolse alla ragazza: «Su, levare bene tutto e fare festa ai tre padroni». Ci indicò con la mano, elevandoci al suo stesso grado di potere.
La ragazza si tolse la tunica bianca con mosse infantili, dove c’era un’ombra di giuoco, d’effetto deprimente. Rimase nuda, efebica, quasi ancora senza sesso. Sul ritmo che Farnenti le dava battendo le mani, cominciò un simulacro di danza del ventre, alzando le braccia magre e portando le mani intrecciate dietro la nuca. Lo scatto dei fianchi era modesto, senza malizia tecnica o interpretativa e anche Farnenti dovette rimanere deluso. «Su», le ordinò «adesso fare come scimmia».
La ragazza si fermò un attimo, quasi per marcare un intervallo, poi abbassò le braccia tenendole leggermente arcuate e spostate in avanti, come per stringere un compagno immaginario e cominciò ad altalenare il ventre, offrendosi e ritirandosi, imitando l’amplesso. Ogni tanto lanciava piccoli gridi, che concluse con un tremolio della voce, accovacciandosi poi in terra.
Farnenti le fece un segno per dirle d’uscire. Era contento, eccitato: «Queste cose non le ha di certo imparate dalle suore a Chisimaio» annunciò ridendo, ma all’improvviso stravolto da colpi di tosse e di catarro.
«Suore o non suore,» disse Contardi adagio, pesando le parole perché risultassero di particolare chiarezza «per me è sempre schifoso».
Finalmente anche Farnenti capì il significato di quel giudizio. Per controbatterlo si lanciò in una spiegazione assurda: forse Contardi non sapeva che quelle ragazze, proprio per l’intervento farnentiano, venivano sottratte ad una usanza disumana. Ma come medico Contardi doveva sapere che il sesso di tutte le ragazze, di qualsiasi clan, sia dei dir o dei darod o degli hauia o dei dighil o dei rahanuin, verso i nove anni, veniva mutilato e cucito, lasciando un pertugio per orinare. Parlava come se facesse una relazione, adoperando termini di medicina sessuologica. Queste cose Contardi doveva conoscerle e anche doveva sapere che così la sensibilità sessuale era in tutte le donne interamente eliminata e che, molte volte, all’epoca dello sviluppo, la cucitura provocava infezioni, cancrene e tante morivano come carogne divorate dal marcio che avevano nella pancia. A questo punto Farnenti si era lasciato trasportare dal suo entusiasmo apologetico e gridava: «Ma io quando posso proibisco, vieto che si compia l’operazione mutilatrice. Perché tagliare quel che dà il piacere? Io le faccio crescere intatte, come la natura vuole: vere donne, che possono sentire quel che sentiamo noi». Sino ad allora era rimasto in piedi, urlando; ma, finita la perorazione, era crollato su una poltrona ed un raggio di luce, che gli batté improvvisamente sulla faccia, la mostrò gonfia e incattivita.
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