Il discorso è vecchio, sostanzialmente falso, ma tutti lo ripetono e facciamo dunque finta di crederci anche noi: la vera cultura si fa in provincia. Lontani dalle distrazioni e dal tumulto delle grandi città, i giovani hanno tempo per pensare, discutere, dibattere. Si formano così cervelli e coscienze: poi arriva la grande città, screma il meglio dell’intelligenza periferica e l’adopera per la fabbricazione dei suoi formaggini culturali. In provincia c’è ancora la possibilità di studiare, di leggere. Molti giovani ci cascano, studiano, leggono. Anzi, hanno la pretesa di voler leggere tutto.
Ora, statistiche alla mano, si sa che escono ogni anno in Italia dodicimila libri, il che fa una media di quaranta al giorno, domeniche escluse. Ci sarebbero poi i libri stranieri, per lo meno quelli nelle tre lingue principali d’Occidente, che non vanno ignorati: il totale cresce a centocinquanta opere giornaliere: non c’è neanche il tempo di leggere i titoli e i risvolti di copertina. Chi si butta nella lettura è destinato ad affogarvicisi; anche se opera una scelta severissima e decide di leggere soltanto, per esempio, i narratori contemporanei (italiani e stranieri, inevitabilmente, perché ormai non esistono più frontiere di nazione e di scuola letteraria) rischia l’indigestione. Perché bisognerà non ignorare il teatro e il cinema, seguire la critica militante, dare un’occhiata alla televisione e un’orecchiata alla radio (mezzi di comunicazione di massa). Chi vuol darsi una formazione culturale ha dinanzi a sé questa prospettiva: morire prima.
Lontani dal tumulto delle grandi città
Quotes per Luciano Bianciardi
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