L'ospitalità virale
Ciascuno è il destino dell’altro e senza dubbio il destino segreto di ciascuno è quello di distruggere l’altro (o di sedurlo), non per maledizione o qualche altra pulsione di morte, ma a causa della propria destinazione vitale.

Ci si può forse rappresentare lo sviluppo di una malattia infettiva nel corpo umano come la storia di una specie di microbi, con la sua origine, il suo apogeo e il suo declino. Una storia simile a quella della specie umana, in proporzioni certamente diverse, ma identiche da punto di vista dell’idea. Questo tipo di specie microbiche vive nel sangue, nella linfa, nei tessuti di un individuo umano. Quest’uomo, che dal nostro punto di vista è colpito da una malattia, è il suo paesaggio, il suo mondo. E per questi minuscoli individui tentare inconsciamente e involontariamente di distruggere questo loro mondo, e spesso distruggerlo davvero, è la condizione, la necessità, il senso della loro esistenza. (Chissà se i vari individui di questa specie microbica, proprio come gli individui umani, non sono dotati di talenti e di volontà molto diversi, e se non ci sono tra loro microbi normali e geni?) Non si potrebbe allora immaginare che l’umanità rappresenti una malattia per un qualche organismo superiore, che non riusciamo ad afferrare come un tutto e nel quale essa trova la condizione, la necessità e il senso della sua esistenza, tentando di distruggere questo organismo e obbligata a distruggerlo a mano a mano che si sviluppa – esattamente come la specie microbica aspira a distruggere l’individuo umano *colpito da malattia*? E non possiamo forse proseguire la riflessione e domandarci se non potrebbe essere la missione di ogni comunità vivente, che si tratti della specie microbica o dell’umanità, quella di distruggere a poco a poco il mondo che la eccede – che si stratti dell’individuo umano o che si tratti dell’universo? Anche se questa supposizione si avvicinasse alla verità, la nostra immaginazione non saprebbe che farsene, perché la nostra mente è capace di afferrare soltanto il movimento discendente, mai il movimento ascendente. Il nostro sapere si limita a ciò che è inferiore, mentre per quanto riguarda il superiore ci troviamo ancora allo stadio del presentimento. In questo senso si può forse interpretare la storia dell’umanità come un eterno combattimento contro il divino che, a dispetto della sua resistenza, viene a poco a poco, e necessariamente, distrutto dall’umano. Seguendo questo schema di pensiero si può forse supporre che questo elemento che ci trascende ci appare divino o viene presentito come tale, è superato a sua volta da un altro che gli è superiore, e così via fino all’infinito. Arthur Schnitzler (Relazioni e solitudini)

Tra la specie microbica e la specie umana c’è simbiosi totale e incompatibilità radicale. Non si può dire che l’altro dell’uomo sia il microbo – non si oppongono mai nella loro essenza e non si confrontano – si concatenano, e questo concatenamento è come predestinato, nessuno può pensarli diversamente, né l’uomo né il bacillo. Non c’è linea di demarcazione, giacché questo concatenamento si ripercuote all’infinito. O allora bisogna decidersi a dire che l’alterità sta qui: l’Altro assoluto è il microbo, nella sua radicale inumanità, colui di cui non si sa nulla e che non è neppure diverso da noi. La forma nascosta che altera tutto e con la quale non c’è negoziato né riconciliazione possibile. E tuttavia viviamo della sua stessa vita e in quanto specie morirà nello stesso momento in cui morirà la nostra – il suo destino è lo stesso. Come la storia del verme e dell’alga: un verme nutre nel suo stomaco un’alga senza la quale non potrebbe digerire nulla: va tutto bene fino al giorno in cui al verme viene in mente di divorare la sua alga: la divora, ma così facendo muore (senza neanche averla digerita, visto che lei non può più aiutarlo).