Tutte vere le interpretazioni, come tutti veri i sensi dell’Overlook. Ma non un allacciarsi giocoso, in un intrecciarsi fantasy di anelli diversi. Tutte le chiavi e tutte le piste possono risultare definitive e totali, ciascuna sufficiente a contenere tutte le altre (da quella sociologica a quella psicoanalitica a quella della situazione dell’artista moderno). Discorso assurdo, contrario all’impenetrabilità dei corpi, si direbbe. Ma le immagini, senza spessore, permettono questo assurdo inghiottirsi a vicenda. Proprio questo resta e consiste, nel film. La forma stessa generale del contenere, dell’albergare, del generare immagini. L’Overlook come gigantesca provetta; laboratorio del mondo/inferno. Ciò che in 2001 era il monolito (puro segno ambiguo definitissimo e lucido) è qui tutto il film, la forma complessa di Shining. La casa, la camera in cui si produce un mondo di immagini, in cui le immagini si fanno vivere e si mettono a morte.
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