Assai sono quelli che bramano l’amicizia di uomini potenti; laonde fia poco danno se questi mancheranno di me, o d’un altro a me simile. Allora. diss’io, è noto, o Raffaello, che tu non brami ricchezze né potenza, ed onori più un uomo del tuo parere,che ogni re o principe. Ma farai impresa degna di te e di quest’animo generoso e veramente filosofo, se con qualche tuo particolare disconcio accomoderai questo tuo ingegno ed industria a giovare al pubblico: il che non puoi fare con maggior frutto, che essendo consigliere di qualche principe, persuadendolo ad opere giuste ed oneste, come certo mi credo che farai. Perciocché un fiume di tutti i beni e mali deriva dal principe, come da una fonte, nel popolo. E in te è tanta dottrina, che senza l’esperienza di cose grandi, e tanta perizia di molte cose, che senza dottrina potresti essere ad ogni re egregio consigliere. Ti pigli errore in due modi, o Moro mio, rispose Raffaello, prima in me, e poi nella cosa istessa: perché non è in me la facoltà che mi assegni, e posto che vi fosse, io turbando la mia quiete, non gioverei punto alla repubblica. Primieramente i principi si occupano piuttosto negli studj della guerra, della quale io sono inesperto, che in arti di pace; e più studiano ad acquistare nuovi regni, che a ben governare gli acquistati. Oltre di questo niuno de’consiglieri dei re è tanto savio che non abbia bisogno, o tanto si tiene savio, che non condescenda a confermare l’altrui consiglio, come che sia sconvenevole; e non vada a verso a coloro, che veggono essere più grati al principe. Siamo tali per natura che ognuno si compiace de’ suoi trovamenti. Così piacciono al corvo i suoi polli ed alla scimia i propri figliuoli. Se alcuno in quella compagnia d’invidiosi, e che prepongono le proprie cose alle altrui, narrerà qualche cosa letta da lui, che sia stata fatta per altri tempi o veduta in altri luoghi; quei che odono si pensano che ogni loro reputazione di sapienza sia giudicata vana, ed essi per pazzi tenuti, non sapendo che riprendere negli altrui trovamenti. E mancando loro ogni via, ricorrono al dire: tali cose piacquero ai nostri maggiori, la cui prudenza piacesse a Dio che potessimo ragguagliare: e, come avessero al tutto vinto, si acchetano. Quasi fosse uno strano pericolo il ritrovare alcuno più prudente dei nostri maggiori, i cui buoni consigli lasciamo però da parte, e trovato qualche miglior consiglio di subito lo teniamo strettamente. Ed io sovente mi sono abbattuto altrove, ed una fiata in Inghilterra, in questi superbi, sciocchi e difficili giudizj. Sei stato, diss’io, appo noi? Vi fui, rispose Raffaello, non molto dopo quella misera sconfìtta, quando la guerra civile degli Inglesi occidentali contro il re fu con loro miserabil strage finita. In quel tempo molto ebbi da rendere grazie a Giovanni Mortono, arcivescovo cantuariense e cardinale, e dell’Inghilterra in quel tempo cancelliere; uomo, o Pietro mio (non dico a Moro che lo conobbe), non meno per sua prudenza venerabile, che per virtù. Era egli di statura mediocre, e robusto nella molta età; la faccia piuttosto da esser riverita che temuta; nel parlare affabile ma con gravità. Dilettavasi di parlare con qualche asprezza ai supplicanti, senza però offender quelli. Cercava di spiare che ingegno, che ardire avesse ciascuno, e trovandovi la virtù alla sua somigliante, se ne serviva nelle imprese. Era nel parlare elegante ed efficace: perito nelle leggi civili, di mirabile ingegno e prodigiosa memoria. A tanta altezza lo condusse l’egregia natura col suo esercitarsi nel parlare e nel bene operare. Parevami che il re molto credesse a’ suoi consigli, e si fermasse in lui la repubblica, come in quello che dalla sua gioventù fu dalla scuola spinto nella corte; od a sua età aveva praticato in alte imprese, e con vari travagli di fortuna era stato continuamente conquassato; ed avea imparato la prudenza delle cose tra grandi pericoli, la quale cosi appresa non facilmente si perde. Trovandomi alla sua tavola, un laico perito delle vostre leggi, presa non so quale occasione, cominciò a commendare quella rigida giustizia contra i ladri, la quale ivi allora esercitavasi, e ehe tal fiata ne erano stati appesi venti ad una forca: laonde si maravigliava donde avveniva che si trovassero tanti ladri, quando che cosi pochi scampavano dal supplicio.
Raffaello Itlodeo e la sfida di influenzare i potenti
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