Bisogna parlare solo quando non è lecito tacere; e solo di ciò che si è superato – ogni altra cosa è chiacchiera, letteratura, mancanza di disciplina. I miei scritti parlano solo dei miei superamenti: dentro ci sono io, con tutto ciò che mi fu nemico, ego ipsissimus. Lo si indovina: io ho già molto – sotto di me; ma ci volle sempre tempo, guarigione, lontananza, distanza, prima che in me si destasse il piacere di spellare, di sfruttare, di mettere a nudo, di rappresentare successivamente per la conoscenza qualcosa di vissuto e di superato, un qualsiasi fatto o fato proprio. In tal senso tutti i miei scritti, con un’unica, per quanto essenziale eccezione, sono da retrodatare – essi parlano sempre di un dietro di me. La serenità necessaria per poter parlare di lunghi anni intermedi di intima solitudine e privazione mi venne solo col libro Umano, troppo umano. In esso, come in un libro per spiriti liberi, spira qualcosa della quasi ilare e curiosa freddezza dello psicologo, che ancora fissa successivamente per sé e appunta per così dire con qualche spillo una quantità di cose dolorose, che egli ha sotto di sé, che egli ha dietro di sé: qual meraviglia se, in un lavoro così pungente e scabroso, scorre talvolta anche un po’ di sangue, se nel compierlo lo psicologo ha sangue sulle dita e non sempre soltanto sulle dita?
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