A un certo grado di esuberanza, il linguaggio è insieme fattore di emancipazione e di apertura verso l’esterno, in che si distingue dal silenzio falso che non è all’occorrenza che una forma tacita di sottomissione alla fatalità. Tuttavia, comunque la si affronti, la partita è persa, ma tale è la natura umana che l’istinto di vita prevale sulla ragione. D’altra parte, il sentimento di liberazione che si prova ad allineare frasi fa sì che ci dimentichiamo di renderci intelligibili a noi stessi e agli altri, da allora c’è come una nebbia nella quale è impossibile ritrovare la propria strada. Tuttavia, è meglio smarrirsi ancora piuttosto che rimanere ad aspettare sul posto una mano caritatevole, venuta non si sa da dove. Se questa profusione verbale ha un senso, è di attenuare il tormento dell’essere sulla sua fine, al quale anche un discorso vaneggiante sembra preferibile alla passività del non-dire.
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