Io mi divido in giacca e calzoni e cintura
e ancora mi disgiungo in cravatta e camicia
e mi scindo in cranio, in polmoni, in visceri,
e pube, e mi distinguo in ogni cellula che
senz’ amore s’accosta ad altra cellula.
Così, casualmente, sussisto: poi chiedo in
prestito la forza che congiunge l’uno all’altro
i miei volti possibili all’improvviso sacramento
d’una chitarra, al riso dell’amico, allo squillo
consueto del telefono, nell’attesa distratta
d’una voce che perdoni la mia spalla, la mia
gamba, la mia dolce cravatta: nell’oziosa
attesa del sacramento della nascita.
Conosco la pace del pensoso dinosauro,
la coerenza delle zanne della tigre: dove
non c’erano parole dove non ci sono
parole, nel centro del centro del centro
delle cose sorde, vitali, sanguinose, dove
si enumerano stomaco, unghie, genitali,
intestini lunghissimi, zampe, e le lacrime
sono lacrime per sangue che esce da
carne lacerata, per l’orrore forte della
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