Ivàn Il’ìc amava trattare con cortesia, quasi cameratescamente, quelli che dipendevano da lui, amava lasciar intendere che li trattava da amico, con semplicità, pur potendo schiacciarli. Ma quelli con cui poteva comportarsi così erano pochi.
Ora invece, come giudice istruttore, Ivàn Il’ìc sentiva che tutti, ma proprio tutti, senza eccezione, i più superbi, gli altezzosi, tutti erano in mano sua, e che gli bastava scrivere un paio di paroline ben note su un foglio di carta intestata per vedersi recapitare questa gente superba e altezzosa, in qualità di accusato o di testimone, costretta a starsene in piedi davanti a lui a rispondere alle sue domande, se non gli saltava in testa di metterla al fresco.
Ivàn Il’ìc non abusava mai di questo suo potere, al contrario, cercava di mitigarne i termini; ma la coscienza di questo potere e la possibilità di mitigarlo costituivano per lui l’interesse fondamentale e il fascino del suo nuovo impiego.
La morte di Ivàn Il'ic
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