Il Monte Improbabile si erge sulla pianura elevando i suoi picchi vertiginosi verso il cielo rarefatto. Si ha l’impressione che le sue incombenti pareti verticali non possano essere scalate. Piccoli come insetti, scalatori frustrati arrancano e si affannano ai piedi della montagna, fissando senza speranza i picchi inaccessibili. Scuotendo perplessi le loro microscopiche teste, dichiarano che nessuno riuscirà mai a scalare la vetta solitaria. I nostri alpinisti troppo ambiziosi sono così intenti a osservare le pareti rocciose che li sovrastano perpendicolarmente da non pensare di volgere lo sguardo verso gli altri versanti della montagna. Lì non troverebbero pareti verticali e profondi canaloni, ma lievi declivi erbosi che digradano dolcemente fino a lontani altipiani. (…) L’altezza della vetta non ha importanza se non si vuole tentare di scalarla in un balzo. Scoprite l’agevole sentiero che sale e, se avete tutto il tempo necessario, l’ascesa consisterà semplicemente nel fare un passo dopo l’altro. (…) L’altezza del Monte Improbabile corrisponde alla combinazione di perfezione e di improbabilità che è compendiata negli occhi o nelle molecole degli enzimi. Dire che un’entità come un occhio o la molecola di una proteina è improbabile significa qualcosa di abbastanza preciso. L’entità è formata da moltissime parti disposte in modo estremamente particolare. Il numero di possibili modi in cui quelle componenti si potrebbero disporre è enormemente grande: nel caso di una molecola proteica possiamo perfino calcolarne il numero. Isaac Asimov l’ha fatto per una particolare proteina, l’emoglobina, e ha chiamato il risultato «numero dell’emoglobina», che ha 190 zeri. Questo è il numero delle possibili combinazioni delle particelle dell’emoglobina tali da dare un risultato diverso dall’esemplare di partenza. Nel caso dell’occhio non possiamo fare un calcolo analogo senza formulare molte ipotesi, ma possiamo intuire che ne risulterebbe incredibilmente grande. Queste combinazioni esistenti e osservabili sono improbabili solo nel senso che sono una sola combinazione tra miliardi di miliardi di possibilità. (…) Non è necessario essere un matematico o un fisico per calcolare che un occhio o una molecola di emoglobina impiegherebbero da qui all’eternità per autoassemblarsi grazie a un semplice caso fortuito all’interno di un guazzabuglio. Lungi dall’essere una difficoltà insita nel darwinismo, l’astronomica improbabilità degli occhi e delle ginocchia, degli enzimi, delle articolazioni del gomito e di altre meraviglie viventi è precisamente il problema che qualsiasi teoria biologica deve risolvere, e che soltanto il darwinismo risolve. E lo fa suddividendo l’improbabilità in piccole porzioni più facili da affrontare singolarmente, ridistribuendo qua e là i «colpi di fortuna» necessari, spostandosi sul versante posteriore del Monte Improbabile e salendo attraverso dolci pendii, un po’ alla volta per milioni di anni. In altre parole, strutture come occhi, orecchie e cuori non possono essere spiegate facendo ricorso al caso. Come abbiamo visto, invocare quest’ultimo come unica spiegazione equivale a saltare dalle pendici alla vetta della più scoscesa parete del Monte Improbabile con un solo balzo. E a che cosa corrisponde la lenta ascesa sui dolci, erbosi pendii dell’altro versante della montagna? È la lenta, cumulativa, graduale sopravvivenza non casuale di mutazioni casuali che Darwin ha chiamato «selezione naturale». La metafora del Monte Improbabile sottolinea l’errore degli scettici di cui abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo. Essi sbagliavano nel tenere gli occhi fissi sul dirupo verticale e sulla sua terribile altezza, e nel supporre che la parete scoscesa fosse l’unica strada per arrivare alla cima su cui si trovavano gli occhi, le molecole proteiche e le altre improbabili combinazioni. La grande impresa di Darwin è stata la scoperta della dolce salita che si snodava sull’altro versante della montagna.
Monte Improbabile
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