No all segretezza del potere politico  o sacerdotale
Caterina non si perdeva in fronzoli, parlava schietto e preciso, forava il timpano dell’interlocutore con discorsi sensati; questa schiettezza, unita al moto perpetuo, la rese scomoda, odiata e perseguitata.
Nel 1856 un ordigno di potenza inaudita scoppiò nei pressi di Caterina che non fece una piega, si tappò le orecchie per non sentire, il naso per non odorare e la bocca per non proferire timido sproloquio.
Nel 1900, non ancora a cavallo delle due guerre, Caterina subì un nuovo attentato: si trovava con la zia Canuta a trascorrere una lunga mezz’ora di relax in una campagna verde e assolata, distribuita su tutta la superficie visibile fino all’incrocio tanto agognato con il mitico orizzonte.
D’improvviso un rumore di cavalli a piedi fece sobbalzare i corpi mingherli di Caterina e zia Canuta.
I cavalli sembravano inferociti, quasi cinghiali, quasi leoni con la zampa ferita, i denti aguzzini fuori dal circolo della bocca bagnata da una bavetta che anticipava l’estasi di un pranzo di lì a poco succulento.
I cavalli, zoccoli alla mano, si dirigevano baldanzosi contro le due donne che erano paralizzate dallo spavento, inchiodate a terra con i corpi ancora seduti, quasi tranquilli, stranamente posati in un momento cruciale e violento.
Caterina fece una mossa azzardata, armò il torace e lo scaraventò contro gli equini che ancora oggi giacciono martoriati in una terra di nessuno: Canuta, vecchia e poco agile, perì in un disastro aereo pochi mesi dopo l’attentato.
Nel 1921, finalmente, Caterina morì in circostanze a dir poco rocambolesche: un trattore, di cui giace matricola e numero di telaio negli archivi della motorizzazione incivile, sfuggito al controllo del capo trattorista, esplose nei pressi di una casupola abbandonata dove Caterina si incontrava, nei giorni da lei ritenuti dispari, con l’amante Rodolfo di Bisantropo.
Il sellino, ancorato a dovere, si scollò dal trattore in fiamme e colpì uno dei testicoli di Rodolfo di Bisantropo che, imbastardito, fece fuoco su Caterina senza che il suo gesto abbia mai destato curiosità alcuna. Il corpo stralunato della giovane venne inumato in un cimitero privato sito a seicento metri di distanza dal luogo della sciagura aerea in cui perse la vita la zia Canuta.
Rodolfo, superati vari momenti di shock, si rifugiò in un castello e fece alcuni dei suoi bagagli per prendere baracca e burattini e trasferirsi, pro tempore, in una mansarda fuori mano da dove, arraffati pochi oggetti ed alcuni bagagli, si diresse verso una palazzina a tre piani. Entrato nell’appartamento preparò alcuni dei bagagli a lui più congeniali e si trasferì in luogo sicuro, una baita alle pendici del monte da dove, bagagli alla mano, reperì altri oggetti misti e un bagagliaio ampio dove mettere alcuni degli oggetti reperiti.
Venne l’inverno, la stagione era rigida, Rodolfo correva carico di bagaglio alla ragguardevole velocità del suono, alcuni lo vedevano, tutti lo rispettavano, altri ne ignoravano l’esistenza e tiravano dritti.
Le campagne rigate di bianca neve caduta in nottata erano strette dalla morsa del gelo, nessuno usciva, nessuno si mostrava, tutto il circondario era deserto, dalle rade finestre sporgevano teste intriganti che spiavano i passi di Rodolfo, ma se Rodolfo avesse avuto un reale bisogno, se Rodolfo si fosse tuffato da par suo nel vortice dei sentimenti, nessuno lo avrebbe soccorso, alcuno avrebbe compatito un uomo la cui unica colpa era quella di essersi incontrato con Caterina in giorni apparentemente dispari.
Ma i giorni non si spareggiano tra loro, se alcuni giorni fossero veramente dispari avrebbero qualche cosa di diverso da altri che scorrono insulsi sulla pelle rattrappita fatta uomo. Rodolfo non faceva caso a queste piccolezze, tirava dritto lui e dritti i suoi bagagli, unico fronzolo ereditato dal padre nella prima fase della giovinezza quando tutto attecchisce e troppo sembra vago.

Crediti
 Antonio Rezza
 Non cogito ergo digito
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Quotes casuali

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