I giovani si fingono immuni dalla morte. E perché non dovrebbero? A volte la vita può apparire infinita, piena di risate e di farfalle, gioia e passione, e birra gelata di qualità.
Ovviamente con il passare degli anni sopraggiunge la dura comprensione che “sempre” non è che una parola. Le stagioni si susseguono, l’amore appassisce, i migliori muoiono giovani. Si tratta di verità dure, dolorose, ineludibili, ma, così ci viene detto, inevitabili. L’inverno lascia il passo alla primavera, la notte si dilegua nell’alba, e la perdita scava il solco al rinnovamento. È facile dire queste cose, proprio come è facile, tanto per dire, guardare un sacco di televisione.
Ma, facile o no, noi confidiamo in questo sentimento. Altrimenti sarebbe come saltare senza alcuna speranza dentro un abisso nero e senza fine, cadere in un vuoto che tutto avvolge per l’eternità. Sul serio, che si guadagna dicendo che la notte può solo diventare più scura e che la speranza giace schiacciata dallo stivale oppressivo del malvagio? Che genere di risposta otteniamo quando giungiamo alla irriducibile comprensione che in vita non c’è salvezza, che presto o tardi, malgrado le nostre migliori speranze e i nostri sogni più cari, non importa quanto nobili siano state le nostre azioni e sincere le nostre virtù, non importa quanto abbiamo lottato per i nostri disperati ideali di immortalità, inevitabilmente a un certo punto il mare ribollirà e il male calpesterà la terra, e il pianeta intero non sarà altro che un campo di giochi abbandonato, adatto solo ai parassiti e agli scarafaggi?
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