Kafka anche in punto di morte è traversato da un flusso di vita invincibile, che gli viene dalle lettere, dai racconti, dai romanzi, e dalla loro incompiutezza reciproca per ragioni differenti, ma comunicanti, intercambiabili. Condizioni di una letteratura minore. Una cosa sola addolora e manda in collera Kafka, scatenando in lui l’indignazione: che lo si prenda per uno scrittore intimista, per uno che trova rifugio nella letteratura, scrittore della solitudine, della colpevolezza, dell’intima infelicità. Eppure lo sbaglio è suo, perché tutto ciò è stato da lui come ostentato, per scavalcare la trappola, e per umorismo. C’è poi il riso di Kafka, un riso proprio gioioso che si spiega così male, e per le medesime ragioni. Proprio per tali stupide ragioni alcuni hanno preteso di vedere nella letteratura di Kafka un rifugio fuori della vita, un’angoscia, il segno di un’impotenza e di una colpevolezza, il segno di una triste tragedia interiore. Due soli sono i principi per avvicinarsi a Kafka: è un autore che ride, profondamente gioioso, di una gioia di vivere, nonostante e con le sue dichiarazioni di clown, che egli tende come una trappola o come un circo. È un autore politico da cima a fondo, indovino del mondo futuro, perché ha come due poli che si appresta a unificare in un concatenamento affatto nuovo; lungi dall’essere uno scrittore chiuso fra le pareti di una stanza, si serve di essa per un doppio flusso, quello di un burocrate di grande avvenire, attaccato ai concatenamenti reali in via di montaggio e quello di un nomade in fuga nel modo più attuale…
Kafka. Per una letteratura minore
Gilles Deleuze – Félix Guattari
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