So che la mia nascita è un caso, un incidente risibile, eppure, appena mi lascio andare, mi comporto come se fosse un evento capitale, indispensabile al funzionamento e all’equilibrio del mondo.
Noi non corriamo verso la morte, fuggiamo la catastrofe della nascita, ci affanniamo, superstiti che cercano di dimenticarla. La paura della morte è solo la proiezione nel futuro di una paura che risale al nostro primo istante. Ci ripugna, certo, considerare la nascita un flagello: non ci è stato forse inculcato che era il bene supremo, che il peggio era posto alla fine e non all’inizio della nostra traiettoria? Il male, il vero male, è però dietro, non davanti a noi. È quanto è sfuggito al Cristo, è quanto ha invece colto il Buddha: Se tre cose non esistessero al mondo, o discepoli, il Perfetto non apparirebbe nel mondo…. E, alla vecchiezza e alla morte, antepone il fatto di nascere, fonte di tutte le infermità e di tutti i disastri.
Di norma, gli uomini aspettano la delusione: sanno che non devono spazientirsi, che presto o tardi verrà, che accorderà loro la dilazione necessaria perché possano dedicarsi alle occupazioni del momento. Diverso è il caso del disingannato: per lui la delusione sopraggiunge contemporaneamente all’atto; non ha bisogno di spiarne l’arrivo, essa è presente. Affrancandosi dalla successione, egli ha divorato il possibile e reso superfluo il futuro. Non posso incontrarvi nel vostro futuro dice agli altri. Non abbiamo un solo istante che ci sia comune. Perché per lui l’insieme del futuro è già qui. Quando si scorge la fine del principio si va più in fretta del tempo. L’illuminazione, delusione folgorante, dispensa una certezza che trasforma il disingannato in liberato.
Con brutalità e con delicatezza, con frasi che ogni volta hanno un filo perfettamente tagliente, Cioran vaga in questo libro non già intorno ai «problemi», come fanno spesso i filosofi, ma intorno alle «cose», come fanno i pochi che pensano veramente – e, fra le tante cose, intorno a quella unica che non cesserà mai di torturarci e di travolgerci: il puro fatto di «essere nati», quella rinuncia primordiale alla possibilità che costituisce la nostra esistenza. In questo libro, più che mai prima, Cioran si avvicina a certi temi, a certi modi dei buddhisti più radicali. E forse proprio questa diversione verso l’Oriente, verso la sua asciuttezza dinanzi alle cose ultime, gli permette di trovare un passo aspramente idiosincratico, un’andatura insofferente verso tutto, soggetta però ad «accessi di gratitudine per Giobbe e Chamfort, per la vociferazione e il vetriolo». È il passo di una lunga deambulazione notturna, da cui nasce e si concatena questa sequenza di aforismi, annotazioni, aneddoti, in un tentativo di evasione «dalla Specie, da questa turpe e immemoriale marmaglia».
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