Multiculturalismo è una parola ingannevole, perché ha implicazioni molto più ampie di quelle a cui prima facie si è ingenuamente indotti a pensare. Rimanendo sulla superficie delle cose, multiculturalismo rimanda al variopinto incontro di tradizioni, usi, costumi, cibi, mode, musiche. Fa pensare ai festival etnici, alla pizzica ballata in Norvegia, al kebab mangiato a Londra, alle sonorità arabe che si diffondono in alcuni quartieri delle grandi città europee, alla pizza divenuta ormai piatto universale eppure ancora così intimamente legata all’Italia, alle contaminazioni in arte e letteratura.
Fin qui, tutto bene. Il problema sorge quando dalla constatazione di una società multietnica e multiculturale – dunque di una disomogeneità nei fatti di lingue, usi, costumi, tradizioni, religioni, etnie che convivono nell’ambito della stessa società – si fa derivare il principio che i membri della comunità politica vadano trattati diversamente a seconda della loro appartenenza alle diverse comunità etnico-cultural-religiose e che le culture minoritarie vadano salvaguardate così come sono (o si presume che siano) e in quanto tali. Quando, cioè, dalla constatazione di una pluralità di usi, costumi, tradizioni, lingue, fedi si fa derivare una pluralità di diritti che, inevitabilmente, conduce a una pluralità di sistemi legali. Un approccio che ha procurato enormi danni al processo di integrazione degli immigrati in molti paesi europei.
Questo è un estratto del saggio di Cinzia Sciuto. A dire il vero la giornalista, che scrive per il gruppo editoriale L’Espresso, ha lanciato da diverso tempo l’allarme dalle pagine di MicroMega. Meglio così, se anche una parte della borghesia illuminista si accorge che questa storia del multiculturalismo si rivela un potente boomerang per chi lo sostiene da decenni, con l’intento di corroborare la politica immigrazionista del capitalismo moderno. Pare dunque che anche una frangia di intellettuali progressisti si sia resa conto che non è oro tutto quello che luccica sotto il pensiero sorosiano-debenedettiano-trotskysta. I problemi sono noti, e per una donna soprattutto si tratta di misurarsi anche con concezioni veicolate da certa immigrazione che se non sono apertamente barbariche si presentano come oscurantiste. La Sciuto ne fa principalmente una questione di laicità, il che è persino scontato, poiché nessun credo religioso dovrebbe sovrapporsi a una concezione dello Stato che sia contagiata da una qualsiasi corrente teologica. Di questi tempi, dove in alcune metropoli dell’Europa si è consolidata la sharia, la questione assume carattere persino emergenziale. In Italia ci stiamo misurando con fenomeni che lasciano atterriti, come le mutilazioni genitali, o con pratiche che consideriamo medievali, come i matrimoni combinati, o gli aborti selettivi. Ma il multiculturalismo, così inteso, non espone solo a questo tipo di regressioni, può anche rappresentare l’arretramento su diritti sociali fondamentali. Non si tratta dunque solo di laicità, così come la intende il pensiero borghese laico, ma di difesa di conquiste storiche, anche etiche e morali, per il movimento operaio. La difesa della cultura di una nazione (di un popolo, o di un insieme di popoli) passa anche per il contrasto deciso a ogni forma di regressione, per l’affermazione e la difesa di una cultura universale di emancipazione, che non può che realizzarsi in una lotta di classe. Questo multiculturalismo si è rivelato in un accoglientismo distruttivo di un sistema sociale, e ora sembra apparire più chiaro.

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