Non m’importunare col tuo amore del prossimo! — Penetra pure, o amico dell’uomo, nelle tane del vizio, soggiorna un tratto in mezzo al rumore di una grande città: non troverai tu forse in ogni luogo peccati senza fine? Non piangerai tu sulla corruzione umana, sull’infinito egoismo? Potrai tu mirare un ricco senza trovarlo spietato ed egoista? Sarai tentato di tuo amore del prossimo! Nella tua testa tu porti impressa l’idea del peccato, e perciò tu l’hai ritrovato in ogni luogo e l’hai voluto scorgere in ogni persona. Non chiamar peccatori gli uomini, ed essi non saranno tali: tu, tu solo, crei i peccati: e tu che credi falsamente d’amare gli uomini, tu li rigetti nel fango del peccato, tu li distingui in viziosi e virtuosi, in umani e disumani; tu, proprio tu, li insudici con la bava della tua ossessione. Poiché tu non ami gli uomini, bensì l’uomo. Ma io ti dico che tu non hai mai veduto un peccatore: l’hai soltanto sognato.
Il godimento di me stesso viene turbato dall’idea che io ho di dover servire ad un altro, di aver degli obblighi verso quest’altro, di esser chiamato a sacrificarmi a lui, a dimostrargli abnegazione o entusiasmo. Ebbene, se io non sono più servo di nessuna idea, di nessun ente supremo, è ovvio che io non sarò più servo di alcun uomo, ma tutt’al più di me stesso. In tal modo però io sono, non soltanto nel fatto, ma anche nella mia coscienza, l’unico.
A te spettano ben maggiori cose che non siano Dio, l’umano, ecc.: a te spetta quello che è tuo.
Se considererai te stesso per più potente degli altri, tu accrescerai la tua forza: se terrai te stesso in maggior conto di quello che gli altri non t’abbiano, tu avrai anche di più.
Allora tu non sarai solamente chiamato alle cose divine, e autorizzato alle umane, ma sarai il padrone di ciò ch’è tuo, vale a dire di tutto ciò che avrai la forza di far tuo. Sarai cioè adatto ad ogni cosa tua.
Mi si volle fin qui attribuire una destinazione posta fuori di me stesso, sicché si finì col pretender da me che io godessi di ciò che è umano per questo solo motivo che io sono uomo.
Questo è il circolo magico dei cristiani. Anche l’io di Fichte è la medesima astrazione posta fuori di me, poiché l’io è di tutti, e se quest’io di tutti è il solo che ha dei diritti, esso diventa l’io universale. Ma io non sono un io fra tanti altri: io sono unico! E per ciò anche i miei bisogni, le mie azioni, in breve tutto ciò che è in me, e viene da me è unico. E soltanto sotto questo aspetto di unico io m’approprio ogni cosa a quel modo che solamente come tale io spiego la mia attività e mi svolgo liberamente.
Quest’è il senso dell’unico.
Articoli simili
Biografia di Georg Wilhelm Friedrich Hegel
05/09/2020La vita e le opere. Dopo aver compiuto gli studi ginnasiali nella sua città, entrò nel 1788 nello Stift di Tubinga, una sorta di seminario protestante, dove ebbe come condiscepoli Schelling e Hölderlin, con i quali strinse una viva amicizia e condivise gli entusiasmi per la Rivoluzione francese.
IX/XX Tesi di politica
20/06/2018Si è posta inadeguatamente in molte maniere la relazione tra l’etica e la politica. La prima maniera è la non relazione tra l’etica (come obbligazione soggettiva del singolare) e la politica (che rimane determinata in una maniera esterna, legalmente o coattivamente). È approssimativamente la posizione di Kant.
Orbita fatale del trascendentalismo
15/05/2009Afferrare il movimento speculativo di Kant, di Fichte, di Schelling e di Hegel per dominarlo e ravviarlo incentrandolo sopra un nuovo principio, fu questo il lodevole ed ardito tentativo di Krause. Ma il tentativo fu duramente contrastato: le menti germaniche quasi invasate dallo spirito dominatore del secolo non vedevan più nulla al di là del puro idealismo…
Ancora nessun commento