Non voglio più vedere nulla
La fine del film è Comincio ad avere paura: la paura come unica vera intensità, che alla fine si libera da questo film di corpi, di pezzi di corpi, di inquadrature singole di nudo, di natiche, di bocche, di seni… Il film stesso è sia un corpo spezzettato e rimontato continuamente, sia un corpo vocale: i dialoghi ridetti, le frasi che tornano, smozzicate o ridette in modo diverso. E poi, se ci pensate, una specie di fine: di fine anticipata del cinema di Carmelo Bene che è questo Non voglio più vedere nulla, questo Basta, questa fine della luce, questa fine della visione. E poi questo farsi grattar via la pelle. […] Questo farsi strappar via il volto, la maschera… Non è che poi sotto la maschera ci sia il volto: no; il volto è, ovviamente, una maschera infinita, composta da strati diversi di maschere: strati diversi della stessa maschera… […] Questa sorta di decapitazione per grattamento. Al posto della decapitazione, una specie di eliminazione del volto e della testa.

Crediti
 Enrico Ghezzi
 Prima di Salomè
  in Fuoriorario 21-22 gennaio 1994
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Quotes per Enrico Ghezzi

Ricordo un anno al Festival di Taormina, Carmelo Bene si costituì in giuria a sé, come presidente di sé stesso, e passava gran parte delle notti a discutere sul bordo della grande piscina del San Domenico con un po' di amici e con Raul Ruiz. Erano dispute teologiche, appassionatissime perché in realtà distaccatissime, come un gioco di fioretto – che è tutto legato al guizzare, alla precisione – dove nessuno aveva in mano il fioretto.

È, fin dall'inizio, lo scontro con sé stesso, specialmente nello specchio, come nemico, come altro, come irraggiungibile; è lo scontro con la separazione dello spettacolo.

Velluto Blu è il primo film di Lynch in cui non c'è bisogno di corpi mostruosi, in cui la mostruosità è una costante divaricazione del reale, della norma e non dalla norma.

C'è un senso di autodistruzione, di voglia di ripetere, e nella ripetizione dimostrare il vuoto del cinema, che rarissimamente è stata fatta in assoluto nel cinema. Ma da cineasti molto più intellettuali e molto più presuntuosi, comunque presenti nel dire questo, uno per tutti Godard. Questo côté Godard, perfino debordiano, o debordante, distruttivo, nichilista, di Kitano, fa il paio – questa è la cosa sublime – con la capacità invece d'essere classico. Ovvero un cinema che è per sempre, e che nello stesso tempo è nulla.

In piena luce è il segreto del cinema di Ciprì e Maresco. Anzi, è la luce stessa. In essa consiste, aura immateriale e garanzia della visibile e «mostruosa» ed eccessiva materialità dei corpi.