Volere equivale a volere uno scopo. Uno scopo implica un apprezzamento di valore. Donde provengono gli apprezzamenti di valore? C’è alla loro base una norma fissa del piacere e dispiacere? Ma in casi innumerevoli siamo noi stessi a rendere spiacevole una cosa, immettendoci le nostre valutazioni. Portata delle valutazioni morali: giocano un ruolo quasi in ogni impressione dei sensi. In tal modo ci risulta colorato. Abbiamo posto nelle cose gli scopi e i valori: perciò abbiamo in noi un’enorme quantità di energia latente: ma se operiamo un confronto tra i valori, vediamo che sono state giudicate preziose cose opposte, che sono esistite, molte tavole di valori (quindi nulla è prezioso in sé). Dall’analisi delle singole tavole di valori è risultato che le si sono costruite esibendo le condizioni d’esistenza di gruppi limitati (condizioni spesso erronee) con lo scopo di conservare tali gruppi. Dall’esame dell’uomo attuale è risultato che noi applichiamo valutazioni molto diverse, e che in esse non c’è più alcuna forza creativa – la base, la condizione dell’esistenza: ecco ciò che manca oggi al giudizio morale. È assai più superfluo di una volta, è da molto che non causa grandi dolori. Diventa arbitrario. Caos. Chi crea lo scopo che rimane, oltre l’umanità e anche oltre l’individuo? Una volta con la morale si voleva conservare: ma oggi nessuno vuole più conservare, non c’è nulla da conservare. Di qui una morale sperimentale e tentatrice: darsi uno scopo.
Nulla è prezioso in sé
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