Far dominare sul palcoscenico il linguaggio articolato, cioè l’espressione mediante parole, sull’espressione oggettiva dei gesti e di tutto ciò che dallo spazio arriva allo spirito attraverso i sensi, equivale a volger le spalle alle esigenze fisiche della scena e a ribellarsi alle sue facoltà.
Bisogna infatti ribadire che la sfera teatrale non è psicologica ma plastica e fisica. E il problema non consiste nel sapere se il linguaggio fisico del teatro può permettere le stesse soluzioni psicologiche del linguaggio verbale, se può esprimere sentimenti e passioni bene quanto le parole, ma se non esistono nel regno del pensiero e dell’intelligenza atteggiamenti che le parole non sono in grado di cogliere, e ai quali i gesti, e tutto ciò che partecipa del linguaggio spaziale, possono arrivare con maggior precisione.
Prima di dare un esempio dei rapporti fra il mondo fisico e gli stati più profondi del pensiero, ci sia permesso di citare noi stessi:
Ogni vero sentimento è in effetti intraducibile. Esprimerlo significa tradirlo. Ma tradurlo significa dissimularlo. L’espressione autentica nasconde ciò che rende manifesto. Essa oppone lo spirito al vuoto reale della natura, creando per reazione una sorta di pieno nel pensiero. O, se si preferisce, crea un vuoto nel pensiero rispetto alla manifestazione-illusione della natura. Ogni sentimento potente provoca in noi l’idea del vuoto. E il linguaggio lucido, impedendo a tale vuoto di apparire, impedisce anche l’apparizione della poesia del pensiero. Per questo un’immagine, un’allegoria, una figura che mascherino ciò che vorrebbero rivelare hanno per lo spirito un significato maggiore della lucidità del discorso e delle sue analisi.
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