Egon SchieleLa natura richiede una condotta di inquietante infinito e imperturbabile formalità rituale, e si descrive in sé stessa (nell’ambito di ciò che è osservabile) attraverso una tendenza piuttosto ripetitiva, omogenea e categorica nella definizione di tratti, forme estetiche e comportamenti delle specie e degli elementi. Essi non sono realmente ambigui nel loro agire, e questa rigorosità stabile si diffonde e permane come qualcosa di generale e molto presente in tutti gli enti sociali (piante, animali, minerali ed elementi) della stessa specie, per quanto riguarda i loro abitudini, comportamenti, costumi e forme fisiche, quasi invariabili al di là del genetico, pur potendosi ridefinire o adattare in base alle condizioni variabili dell’ambiente circostante. Divergenze elementali come il clima, le risorse disponibili per il nutrimento e la sopravvivenza, e le relazioni con altre specie coabitanti dello stesso habitat…

Solo negli esseri umani si perde il legame naturale e si stabiliscono influenze di un altro tipo di determinanti materiali relazionali: determinanti di territorialità metafisiche e astratte, territori semantici e concettuali, simbolici e di assoluti ideali; vere e proprie giungle o pianure astratte che hanno modulato non solo la realtà intrinseca e il corpo stesso degli esseri umani, ma anche il loro impatto sulla natura. È evidente che queste mutazioni, a partire dalla condizione animale, sono il risultato dell’imposizione di ideologie e dogmi, i quali permettono alla realtà culturale di assomigliare a un viaggio verso l’intangibile dell’interpretazione semantica e dell’epistemologia. Pertanto, quando si valuta il tentativo di recuperare il senso sacro e perduto della natura, di Dio o di qualsiasi visione stabile e completa nella sua eternità di proposizioni, si cerca di rinnovare un legame sensibile con le ragioni degli antichi tabù di osservare e conservare certe nature divine, come qualcosa di permeante ma impenetrabile dall’azione pragmatica ed economica dell’essere umano. Si tocca il potere trascendente dell’ideale, ma ancora oltre: si tratta di (ri)comprendere ciò che fa sì che qualcosa, qualsiasi cosa, sia in sé stessa un’espressione-rappresentazione-incarnazione ricettacolo del divino e del sacro, assoluto in quanto stabile e trascendente…

Forse questa formalità rituale della trascendenza, fatta limite prudente, è già favorita e connessa, definita come realtà-spiegazione, di statuto o istituzione del contingente, già stabilita nel concreto di una formalità rituale e operazionale, nella cerimonia di manipolare, nominare, designare poteri e relazioni, come basi metodiche d’inaugurazione della realtà, origine di ciò che si spiega quando si espone. Ormai è più che altro un sistema derivato dall’illusione platonica, ma esacerbato dalla frenetica razionalità positivista e del sospetto, discendente dal senso di utilità rispetto al bene, come correttezza morale del nostro agire nel villaggio umano. Tuttavia, questa è solo un’astrazione derivata da una ri-significazione di qualcosa che già esisteva nel concreto, essendo la natura del reale. Diventa filosofico e politico allo stesso tempo lo strumento della spiegazione, quando in realtà ciò che si cerca non è la spiegazione del fondamento, bensì l’imposizione dell’assioma come condotto regolare per intendere l’esistenza…

In essenza, devastare i cosiddetti paradigmi o cosmovisioni, le rivoluzioni o i richiami a evolversi e illuminarsi, non è altro che compito del causale come ideale, anzi, di ciò che deriva da una forma che si stabilisce in dinamica come qualcosa di universale e stabile. È tendenza organica, così come di frequenze che esistono in proporzione; la modalità del discorso stabilisce il proprio voltaggio in questo modo. E la modernità stessa ha fatto ricorso all’argomento dell’assoluto nelle tendenze di uguaglianza, derivata da un’astrazione più matematica che ideologica, impiantando una stabilità della realtà fondata su un altro universo semantico che diventa causa nella narrativa del discorso e serve nell’operatività algoritmica dell’immagine estetica come rappresentazione del reale, del corretto e del desiderabile; a mo’ di dispositivo agglutinante della logica, persino quando si umanizza il desiderio d’ordine che già era nella rappresentatività di Dio…

Si articola un intreccio di reti d’interpretazione, basate su ciò che si pretende di afferrare come universale e, quindi, armonico e stabile nella variabile; della nostra stessa esperienza soggettiva di ciò che si osserva nell’oggettivo e concreto, permettendo di dare senso alle nostre condotte. Qui il sospetto, in realtà, non è verso il mondo o la natura, né verso le persone o le ideologie, ma verso il linguaggio e il discorso che le definisce e spiega come realtà sintattica e, dunque, teleologica. Ma si inquieta nella spiegazione costantemente, perché resiste a cristallizzarsi troppo a lungo, quando la spiegazione formale di tutto ciò che è costituito come legge fondante si distorce e degrada nella sua immanenza sociale…

Crediti
 Don Toroblanco
 SchieleArt •   • 



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