C’è un criterio quasi infallibile per stabilire se un altro ti è veramente amico: il modo in cui riporta giudizi ostili o scortesi sulla tua persona. Questi ragguagli sono, per lo più, superflui, pretesti per lasciar trapelare la malevolenza senza assumerne la responsabilità, anzi in nome del bene. Come tutti quelli che si conoscono provano la tentazione di dir male – all’occasione – gli uni degli altri, anche per reazione contro la monotonia dei rapporti, così ciascuno è sensibilissimo alle opinioni di ogni altro e desidera segretamente di essere amato anche da chi non ama: non meno fatale e universale dell’alienazione tra gli uomini è il desiderio di spezzarla. In questa atmosfera prospera l’informatore, che non manca mai di materiale sgradevole e che può sempre contare sul fatto che chi vorrebbe che tutti gli volessero bene è sempre sul chi va là, ansioso di apprendere il contrario. Osservazioni sfavorevoli andrebbero riportate solo quando sono in gioco – in modo immediato e trasparente – decisioni comuni, la valutazione di uomini di cui ci si deve poter fidare e con cui si deve lavorare insieme. Quanto più disinteressata è l’informazione, tanto più torbido è l’interesse, il piacere segreto di recar dolore. È un caso ancora relativamente innocuo, quando il relatore vuole semplicemente aizzare l’uno contro l’altro i due contraenti e – nello stesso tempo – mettere in luce le proprie qualità. Ma più sovente egli appare come il portavoce dell’opinione pubblica e lascia intendere alla vittima – proprio con la sua spassionata oggettività – tutta la violenza dell’ente anonimo di fronte al quale deve piegarsi. La menzogna è palese nell’inutile premura per l’onore dell’offeso che non sa nulla dell’offesa.
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