Parresia e democrazia: un'analisi contemporaneaFoucault parla della parresia nel suo ultimo corso al Collège de France, che ha tenuto poco prima di morire di AIDS. Nell’antica Grecia, il «parlare franco» era conosciuto come parresia, e colui che diceva la verità era chiamato parresiasta (parrhesiastés). Lo studio approfondito di questo fenomeno è veramente illuminante, particolarmente nei tempi attuali, in cui la censura e la cultura della cancellazione hanno un nuovo protagonismo.

Ascoltiamo cosa ha da dire Michel Foucault sulla parresia: «È etimologicamente l’attività consistente nel dire tutto: pan rhema. Il parrhesiastés è colui che dice tutto… Demostene dice: «è necessario parlare con parresia, senza arretrare di fronte a nulla». Ma bisogna dire che, tanto nell’antica Grecia quanto nell’attualità, la parresia è sempre considerata come qualcosa di pericoloso per chi la esercita, poiché «non solo rischia la relazione stabilita tra chi parla e la persona a cui è diretta la verità, ma, in ultima istanza, mette in pericolo l’esistenza stessa di chi parla, almeno se il suo interlocutore ha qualche potere su di lui e non può tollerare la verità che gli viene detta. Aristotele indica molto bene questo legame tra la parresia e il coraggio quando, nell’Etica Nicomachea, collega ciò che chiama megalopsychia (magnanimità) alla pratica di questa.

Il parresiasta è, infatti, «colui che corre il rischio di mettere in discussione la sua relazione con l’altro», continua Foucault. «Il dire veritiero del parresiasta incappa nei rischi dell’ostilità, della guerra, dell’odio e della morte». Da parte sua, Gregorio Nazianzeno, arcivescovo cristiano del IV secolo d.C., parla del parresiasta cristiano come di un martyron aletheias o martire della verità. Per tutte queste ragioni, poche persone sono disposte a essere veritiere. Di fatto, è la menzogna, e l’adeguarsi al discorso stabilito, ai meandri dell’ideologia, ciò che beneficerebbe socialmente le persone (o, almeno, così stimano alcuni). La libertà di espressione, in questo caso, sarebbe vulnerata, poiché esprimere la propria opinione e il proprio pensiero sarebbe un atto di parresia, qualcosa di pericoloso.

Aristotele indicava nell’Etica Nicomachea il legame che esiste tra la parresia e il coraggio. Nel caso degli antichi greci, la parresia non può avvenire solo nel comunicarsi con gli altri (almeno, quando si è parresiasti), ma anche nel comunicarsi con sé stessi. La salute nell’antica Grecia consisteva (e consiste) nell’essere franchi con sé stessi, nel sapere il posto che ciascuno occupa nel mondo. Un esempio paradigmatico di questo sarebbero le riunioni degli Alcolisti Anonimi dove uno deve dire il proprio nome e ammettere di essere un alcolista. Oggi, invece, assistiamo a una quasi totale carenza di parresia, anche nei confronti di sé stessi. Non è raro attualmente che l’individuo voglia imporre una rappresentazione di sé stesso dissociata dalla realtà oggettiva.

Tuttavia, nell’antica Grecia, la «parresia era un diritto che doveva essere conservato a qualsiasi costo, un diritto che [si] doveva esercitare nella massima misura possibile, una delle forme di manifestazione dell’esistenza libera del cittadino libero.

Secondo Foucault, nel VI secolo a.C. si verifica una crisi della parresia, poiché questa genera una grande sfiducia (così come accadrebbe ai giorni nostri). Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare a priori, Foucault conclude che la democrazia non è favorevole alla proliferazione della parresia: «La democrazia […] non è il luogo dove la parresia si eserciterà come un privilegio e un dovere. È il luogo dove la parresia si eserciterà come la libertà di ciascuno e di tutti di dire qualsiasi cosa, cioè ciò che gli piace».

Pensiamo alla democratizzazione radicale dell’opinione rappresentata da piattaforme come X (precedentemente Twitter) o altre reti del mondo digitale. Abitiamo, come nel VI secolo a.C. ateniese, una «libertà parresiastica, intesa come autorizzazione data a tutti senza distinzione di parlare». All’interno di questo habitat democratico, chi sarà ascoltato? «Coloro che piacciono», risponde Foucault, «coloro che dicono ciò che il popolo vuole, coloro che adulatori. E gli altri, al contrario, coloro che dicono o cercano di dire ciò che è vero e giusto, e non ciò che piace, non saranno ascoltati. Peggio, susciteranno reazioni negative, irriteranno, infiammeranno la rabbia. E il loro discorso veritiero li esporrà alla vendetta e alla punizione».

Nelle parole dell’oratore, educatore e politico greco Isocrate: «Avete sempre cacciato dalla tribuna tutti gli oratori che non parlavano secondo i vostri desideri». «So», conclude Isocrate, «che è pericoloso opporsi alle vostre opinioni, poiché, sebbene siamo in una democrazia, non c’è parresia».

Viviamo oggi, forse, una situazione simile a quella segnalata da Isocrate. L’idea di parresia si manifesta dissociata, dunque: «Da un lato, appare come la libertà pericolosa, concessa a tutti indistintamente, di dire qualsiasi cosa. E dall’altro c’è la buona parresia, la parresia coraggiosa (quella dell’uomo che dice generosamente la verità, e anche la verità che scontenta), che è pericolosa per l’individuo che la usa e per la quale non c’è posto nella democrazia».

Attualmente, il bullismo sui social media contro persone rilevanti esiste, senza dubbio, ed è provocato spesso quando queste esprimono idee o opinioni vere (o, almeno, considerate vere da loro). Oggi tutti possono parlare e hanno piattaforme affinché le loro parole siano ascoltate, ma, in seno a quel frastuono assordante, generalmente, la verità è assente. E quando questa emerge dalla bocca di persone concrete, è proprio quella massa di lingua sciolta che si affretta ad aggredire con l’intenzione di occultare e soffocare ogni forma di ciò che Foucault intendeva come la «vera parresia».

Crediti
 Iñaki Domínguez
 La parresia greca: L'arte di dire la verità con franchezza
 Pinterest • Aleksandra Johansen  • 



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