Prima un lord e poi un vescovo inglese, rimproverarono a Goethe l’epidemia di suicidi provocati dal Werther. Goethe rispose in termini propriamente economici: Il vostro sistema commerciale ha fatto migliaia di vittime; perché non perdonarne qualcuna anche al Werther?
Alberto, personaggio piatto, morale, conformista, decreta (come chissà quanti prima di lui) che il suicidio è una viltà. Per Werther, al contrario, il suicidio non è una debolezza, dal momento che esso scaturisce da una tensione: Mio caro, se un eccesso fisico viene considerato come una forza, perché non lo sarà anche un eccesso di sentimenti? L’amore passione è dunque una forza questa violenza, questa passione irriducibile è qualcosa che ricorda la vecchia nozione di (ischius: energia, tensione, forza di carattere) e, più vicino a noi, quella di Dispendio. (Tutto questo va ricordato, se si vuole intravedere la forza trasgressiva dell’amore passione: l’assunzione della sentimentalità come forza estranea.) A un certo punto in Werther, sono contrapposte due economie. Da una parte c’è il giovane innamorato che, senza calcoli, prodiga il suo tempo, le sue capacità, la sua fortuna; dall’altra, c’è il filisteo (il funzionario) che gli fa la predica: Amministra il tuo tempo… Calcola bene la tua fortuna ecc. Da una parte, c’è l’innamorato Werther che, senza risparmio e senza aspettarsi alcuna ricompensa, ogni giorno spende il suo amore e, dall’altra, c’è il marito Alberto, che amministra il suo patrimonio, la sua felicità. Da una parte, un’economia borghese dell’accumulo, dall’altra un’economia perversa della disperazione, dello spreco, del furore. Il discorso amoroso non è proprio privo di calcoli: io ragiono, certe volte calcolo, sia per ottenere una certa soddisfazione, o per evitare un certo dolore, sia per rappresentare interiormente all’altro, in un moto di stizza, i tesori d’ingegnosità, che io dilapido per niente in suo favore (cedere, dissimulare, non ferire, divertire, convincere, ecc.) Ma questi calcoli sono soltanto delle impazienze: in essi non vi è alcuna idea di guadagno finale: il Dispendio è aperto, all’infinito, la forza deriva, senza nessuna finalità (l’oggetto amato non è una meta: è un oggetto-cosa, non un oggetto-termine). Quando il Dispendio amoroso viene continuamente riaffermato, senza freno, senza soluzione di continuità, si verifica quella cosa splendida e rara che si chiama l’esuberanza e che è eguale alla Bellezza: L’esuberanza è la Bellezza. La cisterna contiene, la fonte trabocca. L’esuberanza amorosa è l’esuberanza del fanciullo a cui niente (ancora) viene a contenere l’ostentazione narcisistica, il godimento multiforme. Considerato che il discorso amoroso non è una media di stati d’animo, questa esuberanza può essere rotta a intervalli da tristezze, avvilimenti, impulsi suicidi; ma un tale squilibrio fa parte di quest’economia nera che mi marchia con la sua aberrazione, e per così dire con il suo lusso sfrenato.
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