Perché il regno deve essere accolto con cuore di bambino? Forse perché il bambino è innocente cente e non conosce il male? Ma allora perché il regno è stato annunciato proprio ai peccatori, ai sacrileghi e alle meretrici, perché Gesù è venuto a chiamare i peccatori e non i giusti? Forse perché il regno è cosa umile e dolce, e perciò la piccolezza dei bambini, che sono deboli e inermi, bisognosi di tutto, è il simbolo della nullità di fronte a Dio, della passività con la quale il regno deve essere atteso e ricevuto da lui? Ma allora perché Gesù ha detto che «il regno dei cieli si acquista con la forza e i violenti se ne impadroniscono (Mt, 11, 12), e perché ha detto che «tra i nati di donna non è sorto mai alcuno più grande di Giovanni il battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (Mt, 11, 11)?
Piuttosto, c’è nelle parole di Gesù un abisso di pessimismo circa il bilancio della vita degli uomini e del mondo, un concepire la vita dei singoli e la vicenda della storia come un discendere verso la delusione e la stanchezza, un allontanarsi sempre più dagli inizi capaci di sperare e di volere l’incredibile. Essere come un bambino, allora, è lo stesso che essere capaci di speranza e di violenza: il bambino, nel capovolgimento operato da Gesù, non è il tipo della piccolezza, ma della grandezza.
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