Il lirismo rappresenta un impulso a disperdere la soggettività, perché denota, nell’individuo, un’effervescenza insopprimibile che continuamente esige espressione. Essere lirici significa non poter restare chiusi in sé stessi. Tale bisogno di esteriorizzazione è tanto più imperioso quanto più il lirismo è interiore, profondo e concentrato. Perché l’uomo diventa lirico nella sofferenza e nell’amore? Perché entrambi questi stati, sebbene diversi per natura e orientamento, sorgono dal fondo più remoto dell’essere, dal centro sostanziale della soggettività, che è una sorta di zona di proiezione e di irraggiamento. Diventiamo lirici quando la vita dentro di noi palpita a un ritmo essenziale, e quando ciò che stiamo vivendo è talmente forte da sintetizzare il senso stesso della nostra personalità. Ciò che abbiamo di unico, di specifico, si compie in una forma così espressiva che l’individuale si eleva al livello dell’universale. Le esperienze soggettive più profonde sono anche le più universali, perché in esse si tocca il fondo originario della vita. La vera interiorizzazione conduce a un’universalità inaccessibile a quanti restano alla superficie. […] Lo stato lirico è al di là delle forme e dei sistemi. Una fluidità, una scioltezza interiore mescolano in uno stesso slancio, come in una convergenza ideale, tutti gli elementi della vita dell’anima per creare un ritmo intenso e pieno. Rispetto alla raffinatezza di una cultura anchilosata che, costretta in forme e cornici, camuffa tutto, il lirismo è un’espressione barbara. Qui sta appunto il suo valore: nell’essere solo sangue, sincerità e fiamme.
Perché l’uomo diventa lirico nella sofferenza e nell’amore?
Crediti
Ancora nessun commento