Dapprima mi hanno interessato le speculazioni metafisiche, poi le idee scientifiche. Infine mi hanno attratto le idee sociologiche. Ma in nessuno di questi stadi della mia ricerca della verità ho trovato sicurezza e sollievo. Leggevo poco, a prescindere da qualsiasi tipo di interesse. Ma nel poco che leggevo, mi stancavo di trovare tante teorie, contraddittorie, ugualmente fondate su ragioni argomentate, tutte ugualmente probabili e in sintonia con una scelta di fatti che aveva sempre l’aria di costituire tutti i fatti. Se sollevavo dai libri i miei occhi stanchi, o se dai miei pensieri sviavo la mia perturbata attenzione verso il mondo esterno, vedevo soltanto una cosa, che mi smentiva ogni utilità di leggere e pensare, strappandomi ad uno ad uno tutti i petali dell’idea dello sforzo: l’infinita complessità delle cose, la prolissa irraggiungibilità degli stessi scarsi fatti che si potrebbero considerare necessari per la formulazione di una scienza. Poco a poco ho trovato in me lo sconforto di non trovare niente. Non ho trovato una ragione e una logica se non ad uno scetticismo che non era neppure alla ricerca di una logica per giustificarsi. Non ho pensato di curarmi da questa cosa – perché mi sarei dovuto curare? E che cosa significava essere sani? Quale certezza avevo che quello stato d’animo dovesse appartenere alla malattia? Chi ci dice che, pur essendo una malattia, la malattia non sia più desiderabile, o più logica, della salute? E se la salute era preferibile, per quale altro motivo io ero malato se non per il fatto di esserlo naturalmente, e se lo ero naturalmente, perché andare contro la Natura, che per qualche scopo, ammesso che abbia uno scopo, mi avrebbe voluto certamente malato? Non ho mai trovato argomenti se non per l’inerzia. Giorno dopo giorno si è infiltrata dentro di me sempre più la coscienza umbratile della inerzia di colui che abdica.
Perché mi sarei dovuto curare?
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