Noi scriviamo non perché ciò che scriviamo abbia il minimo valore, ma per un atto di fede manifestato come una preghiera. Noi preghiamo con la penna, per confortare con la costanza originaria la fede vacillante e obbligata a traversare le sue giornate tra l’ironia, talvolta mascherata di malvagità, delle cose inanimate e di quelle viventi; noi preghiamo per chiudere in noi stessi e in ogni istante il circolo e il cielo eterno del destino; per chiudere in noi stessi il circolo magico in cui la fede e l’invitta presenza strettamente limitate e circoscritte divengono vaste come l’universo che le ignora; e tutto ritrovano nella propria inviolata solitudine.
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