Abbiamo parlato sommariamente di una reversibilità del vedente e del visibile, del toccante e del toccato. È ora di sottolineare che si tratta di una reversibilità sempre imminente e mai realizzata di fatto. La mia mano sinistra è sempre sul punto di toccare la destra intenta a toccare le cose, ma io non giungo mai alla coincidenza. Io sono sempre dalla stessa parte del mio corpo, esso mi si offre in una prospettiva invariabile. Ma questo iato fra la mia mano destra toccata e la mia mano destra toccante, fra la mia voce udita e la mia voce articolata, non è un vuoto ontologico, un non-essere: esso è scavalcato dall’essere totale del mio corpo, e da quello del mondo, è lo zero di pressione fra due solidi che fa sì che essi aderiscano l’uno all’altro. Incontriamo qui il punto più difficile, cioè il legame della carne e dell’idea, del visibile e dell’ossatura interiore che esso manifesta e nasconde. Nessuno si è spinto più lontano di Proust nella fissazione dei rapporti del visibile e dell’invisibile. La letteratura, la musica, le passioni, ma anche l’esperienza del mondo visibile sono l’esplorazione di un invisibile. Semplicemente, quell’invisibile, quelle idee non si lasciano staccare dalle apparenze sensibili ed erigere a seconda positività. Queste verità non sono soltanto nascoste come una realtà fisica che non si è saputo scoprire, come un invisibile di fatto che un giorno potremo vedere faccia a faccia purché sia rimosso lo schermo che lo maschera. Non c’è visione senza schermo: noi non conosceremmo meglio le idee di cui parliamo se fossimo privi di corpo e di sensibilità; in questo caso esse ci sarebbero inaccessibili. Ogni qualvolta vogliamo accedervi immediatamente, o mettere mano su di essa, o circoscriverla, o vederla senza veli, noi sentiamo bene che il tentativo è un controsenso, che essa si allontana a mano a mano che ci avviciniamo; l’esplicitazione non ci dà l’idea stessa, ne è solo una versione seconda, un derivato più maneggevole. Noi non vediamo, non udiamo idee, nemmeno con l’occhio dello spirito o con il terzo orecchio: e tuttavia le idee sono là, dietro i suoni o fra di essi, riconoscibili nel loro sempre particolare, sempre unico, di ritrarsi dietro di quelli. L’idea è questo livello, questa dimensione, non un invisibile di fatto che non avrebbe niente a che fare con il visibile, ma l’invisibile di questo mondo, quello che lo abita, lo sostiene, lo rende visibile, la sua possibilità interna e propria.
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