Prima vacanza al mareLa nostra Talbot scrostata scivolava lungo l’Autostrada del Sole prigioniera del caldo di Ferragosto. Sei ore dopo – invece delle tre impiegate dalle auto normali – eravamo a Pinarella di Cervia, in una pensioncina sull’Adriatico. Ci trovavamo lì per incontrare degli amici, probabilmente la sola altra rwandese sposata con un italiano in tutto il paese.
«Tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare!», cantava papà come Pippo Franco nel film Ricchi, ricchissimi… praticamente in mutande. Con la scusa che non avevamo l’autoradio, papà si ostinò a cantarla per tutto il tragitto.
Quella fu la nostra prima vacanza in famiglia. Contro la volontà dei miei, ero andata a letto la sera prima col mio bikini americano: rosso, bianco e blu. Dieci anni e quello era il primo costume da bagno che avessi mai posseduto. Incapace di dormire, cominciai a posare come Naomi Campbell davanti allo specchio. Eccitata quasi al punto di esplodere, gridai canzoni di Jovanotti e Cristina D’Avena come per annunciare a tutta la costa orientale il nostro arrivo imminente. Distesa sul letto, le gambe allungate sul muro, tamburellavo i piedi a ritmo di musica, la stanza dei miei dall’altra parte di quello stesso muro.
Mio padre mi aveva avvertito non una, non due, ma ben tre volte. La sua voce più grossa a ogni minaccia. Lo sculaccione che seguì fu raffinato da un crescendo di schiaffi. «Il metodo Pestalozzi», lo chiamava lui.
Ma neppure le guance gonfie e i lacrimoni riuscirono a incrinare la mia gioia.

Una volta arrivati, papà si trasformò. Come una creatura marina, sbocciò a contatto dell’acqua salata, le alghe e il sole. Ad anni luce di distanza dalle ciminiere, l’asfalto e i camion di casa. Chiudeva gli occhi, cadeva all’indietro e si lasciava trasportare via dalle onde. Non lo vidi mai così libero.
E nonostante tutto, rifiutai di entrare in mare. Solo pochi minuti dopo che eravamo arrivati in spiaggia, un bagnante aveva estratto dall’acqua un ratto grosso quanto un cane e io ne fui traumatizzata.
Ci vollero cinque giorni prima che mi azzardassi a mettere piede sul bagnasciuga. Era gelato e costellato di sassolini. Papà mi afferrò le mani e mi spinse dentro.
«E se ci trovo un ratto?».
«Non succederà, stai tranquilla», mi promise.
«Ma io ho paura dell’acqua, è nera e non riesco a vedere niente!».
«Abbi un po’ di fede, bambina mia».
Quando l’acqua gli arrivò alla gola, prese un bel respiro e mi trascinò di sotto. Non si vedeva nulla, però riuscii a distinguere una medusa e i piedi sguazzanti di decine di natanti, giovani e anziani.
Quando riaffiorammo in superficie, avevamo già oltrepassato le boe. E più ci spingevamo oltre, più la visibilità aumentava. Cozze, granchi, triglie. E spugne, gigli di mare, praterie di Posidonia. Un banco di sardine ci passò accanto, solleticandoci le caviglie.
Papà mi tenne per mano, nuotando sempre più giù, fin dove l’ossigeno poté portarci.
«Tornate indietro! Siete fuori di testa?».
Il bagnino agitò furiosamente le braccia dalla torre di controllo.
«Oltrepassare le boe prevede una multa salatissima».
«Per una volta non sono io quello arrabbiato», disse papà ridendo, mentre nuotavamo verso la spiaggia.
«Per una volta sai che vuol dire essere al posto mio».
Mi lanciò uno sguardo pieno d’amore. Ma si trasformò presto in una tristezza ancora più profonda. Per lui, le due cose, erano diventate inseparabili.

Crediti
 Umuhoza Delli
 Baci razzisti
 SchieleArt •   • 




Quotes casuali

Portami con te in un supermercato,
dentro un bar, nel parcheggio di un ospedale.
Spezza con un bacio il filo a cui sto appeso.
Portami con te in una strada di campagna,
dove abbaiano i cani, vicino a un'officina meccanica, dentro a una profumeria.
Portami dove c'è il mondo, non dove c'è la poesia.
Franco Arminio
La sospensione del tempo, intesa come fine di ogni coercizione, è l'ideale della musica.Theodor W. Adorno
L'Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi. È un paese dove tutto funziona male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l'incompetenza, la confusione.
E tuttavia, per le strade, si sente circolare l'intelligenza, come un vivido sangue. È un'intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d'un ingannevole, e forse insensato, conforto.
Natalia Ginzburg
Le piccole virtù