Quello del godimento nell’umiliazione è un topos peculiare della letteratura di Dostoevskij.
Il muro è tutto ciò che impedisce di vivere, di fronte ad esso il protagonista si umilia, e ci confessa di vivere questa umiliazione come un sottile piacere.
Ora, non ha molto senso suddividere i piaceri in legittimi e illegittimi, naturali e innaturali; ma dal punto di vista della crescita psicologica è anche troppo chiaro che chi riesce a trarre godimento dalla passività totale, dalla rinuncia ad agire e reagire, non avrà motivazioni e stimoli per cambiare, non sarà spinto a niente, nemmeno a cercare il proprio piacere, perché esso è già lì, nell’inerzia assoluta.
In analisi accade di frequente di incontrare pazienti distrutti da un sentimento di profondo disprezzo di sé stessi, convinti di essere condannati a passare di fallimento in fallimento per una oscura colpa. Lo sforzo richiesto all’analista è in questi casi enorme, in quanto si tratta di operare proprio su quei presunti elementi ‘negativi’. Si tratta di aiutare il paziente a capire che è proprio il considerare pregiudizialmente negativi quei dati del carattere, la radice dei suoi fallimenti.
È così che ci si condanna a sbagliare.
L’attribuire alla propria natura una specie di vizio d’origine rappresenta non solo un comodo alibi, ma la scelta più facile per il futuro. Più facile, ma certo meno costruttiva di quella di operare proprio su quel dato ineliminabile del carattere per usarlo in funzione di un progetto di rivoluzione e di liberazione interiore.
Progetto di liberazione interiore
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