La risposta a queste preoccupazioni è la stessa che si dà alla vexata quaestio di sapere se è il giornale che fa l’opinione pubblica o è quest’ultima che fa il giornale. Né il capo né l’idea del capo può svilupparsi se manca un terreno fertile, e sempre che si abbia qualcosa da seminare. Per rifarsi a un’altra immagine, le due parti sono necessarie l’una all’altra affinché l’azione sia efficace. La propaganda è utile al politico soltanto se il pubblico, consapevolmente o no, desidera ascoltare ciò che ha da dire.
Presupporre d’altronde che esista una propaganda falsa o disonesta, non sarebbe un motivo sufficiente per respingere in blocco tutti i suoi metodi. Fino a quando i responsabili politici avranno l’esigenza di rivolgersi ai loro elettori, continueranno a usare questa tecnica sotto una qualunque forma.
La propaganda viene inoltre accusata di aver fatto del presidente degli Stati Uniti un personaggio di tale importanza da apparire come l’incarnazione vivente dell’eroe, o addirittura della divinità, cui si rende un culto. Ne convengo, ma in che modo mettere fine a una situazione che riflette esattamente i desideri di una parte della popolazione? Il popolo americano non si inganna accordando intuitivamente un’immensa importanza alla funzione esecutiva. Non è colpa della propaganda se vede nel presidente un simbolo eroico di questo potere, ciò appartiene alla natura stessa della carica e al modo in cui si relaziona con il popolo.
Certamente è possibile deplorare questa esigenza abbastanza irrazionale di portare alle stelle l’uomo mandato al potere, ma siamo sicuri che la situazione sarebbe più sana se il candidato non si appoggiasse affatto sulla propaganda o utilizzasse una propaganda inadeguata all’obiettivo perseguito? L’esempio del principe del Galles Il principe di Galles (1894 -1972) partecipò alla I guerra mondiale, divenendo molto popolare. Nel gennaio 1936 succede al padre Giorgio V ma si scontra con il premier conservatore Stanley Baldwin e con l’entourage anti-tedesco per la sua intenzione di sposare la signora Simpson, americana, divorziata e con simpatie filonaziste. Nel dicembre 1936, di fronte alla crisi abdicò a favore del fratello Giorgio VI, divenne duca di Windsor e sposò la Simpson in Francia. illustra bene questo aspetto. La sua visita in America ha procurato a questo giovane un bel pacco di ritagli di giornale ma poca gloria in più, per la semplice ragione che è stato mal consigliato. Il pubblico americano conserva di lui l’immagine di un ragazzo affascinante ed elegante, ottimo ballerino, amante dello sport. ma forse un po’ frivolo. Non è stato fatto nulla per aggiungere un tocco di stile e di prestigio a questa impressione, a parte, verso la fine del soggiorno, un’incursione nel metrò di New York. Un’avventura sul terreno della democrazia e della vita guadagnata duramente, come testimonia l’abbigliamento dei passeggeri che si recano al lavoro, e che ha destato nel principe un interesse inatteso. Se fosse stato consigliato meglio, avrebbe alimentato questo interesse documentandosi seriamente sul modo di vita americano, come aveva fatto, prima di lui, il principe Gustavo di Svezia.
Senza una propaganda ben concepita, il principe di Galles è così apparso agli occhi del popolo americano non per quello che rappresenta costituzionalmente -un simbolo dell’unità dell’Impero britannico- ma come un membro a pieno titolo della gioventù dorata di Long Island.
La Gran Bretagna ha capito troppo tardi quanto fosse importante preparare bene le relazioni pubbliche di Sua Altezza Reale, e in tal modo ha perso una preziosa occasione per allargare la cooperazione e la comprensione tra i nostri due paesi.
Certamente le azioni pubbliche del capo dell’esecutivo americano sono organizzate e orchestrate, se vogliamo usare questo termine, perché la loro messa in scena ha lo scopo di innalzare l’uomo, mostrandolo nelle sue funzioni di rappresentante del popolo.
La tendenza del capo a seguire, più che a guidare, è all’origine di una curiosa tradizione, che viene chiamata del ballon d’essai cui ricorrono i nostri dirigenti per restare, credono, in contatto con la gente. L’uomo politico presta sicuramente la massima attenzione al minimo segnale che proviene dalla società, si dedica a una sorta di auscultazione clinica, incolla l’orecchio al terreno per cogliere le più piccole vibrazioni dell’universo politico. Ma per la maggior parte del tempo il senso di queste vibrazioni gli sfugge e non sa distinguere quelle superficiali da quelle più profonde. Allora lancia un ballon d’essai sotto forma, per esempio, di un’intervista anonima rilasciata alla stampa, poi scruta le risonanze che suscita nel popolo, espresse con manifestazioni di massa, con risoluzioni, telegrammi o perfino editoriali sulla stampa di partito o no. In funzione dell’eco di ritorno il nostro uomo deciderà di confermare la misura su cui era indeciso, oppure scartarla, o ancora modificarla, adeguandola all’insieme delle valutazioni che gli sono pervenute. Si tratta di un metodo basato sul dispositivo messo a punto durante la guerra per sondare la disponibilità del nemico a fare la pace, o testare le grandi tendenze dell’opinione pubblica. Molti uomini politici lo adottano prima di difendere apertamente una certa misura legislativa, anche i governi operano nello stesso modo prima di compiere una scelta in politica estera o interna. Questo metodo non ha però alcuna giustificazione. Un uomo politico con le qualità di un capo saprà, utilizzando abilmente la propaganda, guidare il popolo, invece di seguirlo alla cieca, procedendo a tentoni.
Propaganda. Della manipolazione dell'opinione pubblica in democrazia
Traduzione di Augusto Zuliani
La propaganda e la leadership
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