Pensano che la terra sia un grumo di forze, un’aggressione contro il nulla, il disegno voluttuoso di un sasso arroventato contro l’aria dell’universo intero, e dichiarano necessario non capire l’esistenza della terra, ma solo accettarla, e operarla, con che essi intendono quella adesione corporale alle cose terrene, che si ottiene coi piedi e coi visceri e coi genitali, e colla saliva, e con tutto ciò che è violenza e passione.
Pensano all’universo come ad un insensato e sregolato atto di violenza ai danni del niente, né sanno pensare o tollerare la propria esistenza se non come violenza, o assalto contro quel nulla; dicono di esistere come forza, di non morire in quanto forza; difendono la nobiltà della loro atroce disperazione, e asseriscono che solo su di essa si fonda la provvisoria e non duratura coerenza di codesta aggressione.
Tuttavia essi non possono neppure accettare quella loro disperazione: e sempre si logorano intorno a quella loro condanna, di portare parole e sintassi dove è solo la forza. «Vedi» dice uno di essi «se si potesse parlare coi ginocchi di quella donna: se ci fosse, oltre al ritmo che la musica impone al mio corpo e al suo, se ci fosse una necessaria sintassi, che fornisse una collocazione grammaticale e sintattica e logica alle nostre membra. Qualcosa di libero e di necessario». Sanno che questo non è possibile, perché sanno che Dio non esiste.
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