Perché la condizione ultima è quella del METATEATRO. Un teatro realmente in vita nel momento, diretto dalla coscienza; il metateatro è prerogativa del maestro spirituale, maestro di coscienza e consapevolezza. È totalmente dissimile da eventi casuali o dagli accadimenti. È un metodo antico. È un metodo inevitabile considerando la natura dell’uomo e la sua vita. Perché l’uomo comune è già un attore nella vita e tutto l’artificio del dramma è ispirato nientemeno che dall’obiettivo di trascendere lo stato inconscio di finzione per raggiungere un’esistenza reale. Piangiamo e ridiamo mentre impariamo a simpatizzare più profondamente e a vedere più chiaramente. I vari culti teatrali moderni – dell’assurdo, del crudele, dell’alienazione, ecc. – sono le uniche ricadute prevedibili dell’obiettivo primario; sono tentativi di imitazione della realtà! L’obiettivo primario è quello cosciente, che non può essere imitato. Nella misura in cui siamo coscienti, o toccati dalla coscienza – sebbene di solito in modo frammentario e non afferrabile – avremo lo scopo di risvegliare la coscienza nella nostra arte drammatica. E così possiamo facilmente vedere che tutti gli scopi proposti per il teatro sono in qualche modo disonesti. Tutto ciò mette l’attore in una situazione non invidiabile (se non è un dormiente che intrattiene le persone addormentate). Ha poche basi per comprendere cosa potrebbe essere implicato nella sua arte. Viene trascinato in una fase di transizione, dalla vita ordinaria della finzione alla vita autentica di un essere cosciente, in cui la sua stessa finzione può PEGGIORARE. Deve correre dei rischi. Potrebbe benissimo diventare più ingannevole, più frammentato, più in contrasto con il proprio scopo invece che meno. Perlomeno, deve trovare un modo per ASSIMILARE le esperienze generate attraverso l’agire, in modo che possano migliorare il suo apprendimento della lezione che la vita porta. Il teatro è un laboratorio di indagine sulla vita fuori controllo e pericolosa per i tecnici (gli attori) che ne sono attratti. Perché agire? Pare che sia qualcosa che abbia a che fare con i seguenti pensieri: C’è ovviamente l’incredibile attrazione della risposta di un pubblico, di riuscire effettivamente a effettuare una comunicazione anche se non è veramente mia, di superare la sofferenza del discorso e la solitudine della mia mente. Ma la recitazione mi dà anche la possibilità di crearmi al punto da essere libero da me stesso, permettendomi di imparare a dirigere le mie manifestazioni così come le comprendo. Che molti attori agiscono male – mentre altri non soffrono questo trauma e disintegrazione – non pregiudica questa promessa; ma è solo una promessa, la via è disseminata di ostacoli e perversioni, la più grande delle quali è la mancanza di un vero scopo capace di cedere ciò che potrebbe essere possibile nel pubblico dominio del teatro, vincolato come dev’essere dalle strutture della cultura generale con tutti i suoi limiti e le sue distorsioni. L’attore deve anche affrontare il dilemma che un vero teatro consapevole non è possibile nello spazio pubblico, eppure è proprio di questo che ha bisogno.
Il metateatro e la consapevolezza nell’arte drammatica
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