Crisi esistenziali e autenticità nella recitazione
Il personaggio è il suo stesso amico, comunicatore e nemico. L’attore, ovviamente, non deve seguire alcuna dottrina specifica riguardante le ragioni delle crisi esistenziali dei suoi personaggi – e nemmeno le sue idee in merito. Ma deve affrontare il problema a modo suo. Di fronte (o dentro) un personaggio che è in una condizione di collasso (dal punto di vista dei livelli inferiori di programmazione), deve chiedersi: Cosa significa? Come è possibile in realtà? Come affronto questa possibilità in me stesso?. Per un attore, ciò può tradursi in un sorgere di un profondo senso mitico – dal momento che il sé diviso esiste in un mondo di archetipi e modelli, più che in un mondo di persone e cose – e, per un altro, in una crisi esistenziale per la sofferenza di una scelta. La questione dell’interpretazione autentica sorge quando, qualunque cosa sia scritta dall’autore, questa non può determinare in che modo il personaggio dev’essere interpretato o anche cosa intende. Questo è affidato all’interpretazione. L’attore ha questo compito, deve creare ciò, e lo crea in base al proprio significato. Quando il significato dell’attore non cresce con la sua recitazione, l’attore è sminuito e banalizzato in se stesso, ed è portato inesorabilmente alla propria crisi per ricevere la lezione in una forma estrema. La lezione è semplicemente affrontare la questione, prenderla sul serio, sopportare il problema. I livelli al di là del sé diviso ci riguardano difficilmente qui, poiché sono al di là della portata del teatro. Riguardano domande che hanno a che fare con la nostra stessa esistenza planetaria e come la coscienza si plasma in forme di vita specifiche. Il dramma del teatro è dunque più del dramma che si scrive per il teatro. È un dramma per gli attori, che sono a rischio. Non sorprende che in certi periodi gli attori siano stati evitati socialmente come persone indesiderabili, pervertite dalla loro svalutazione di significato autoinflitta. Naturalmente, anche le società di questi periodi erano ipocrite, svilite nel loro stesso significato da una finzione collettiva; ma il punto dovrebbe essere registrato. L’attore deve affrontare un problema di sincerità che, se lo evita, peggiorerà le sue condizioni. La recitazione, la professione della finzione, può corrompere o liberare a seconda che si tratti di fingere o di imparare a vedere. In questa luce si può dire che il vero attore è colui che non agisce più; si esibisce semplicemente secondo la sua osservazione per un pubblico capace di auto-osservazione. Esprime l’esistenza umana attraverso la coscienza della contraddizione a tutti i livelli contemporaneamente. La sua coscienza e le sue manifestazioni sono intere e indivise.

Crediti
 Anthony Blake
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